Enrhumé, on dirait.
Ma a Roma. Da Parigi.
E non lo dico per avere delle scuse o degli alibi. Perché qualcosa dalla mia cicatrice sul naso, qualcosa, dico, dovrò pure averla imparata.
E allora sono lì con i miei studi rinascimentali. Le mie belle lettere nella testa. Quando la giornata mi è scivolata nelle dita senza la vera sensazione di aver fatto qualcosa.
Digitato nel nulla. Digitato. Che poi è la chiave funesta del digitale.
E allora c’è questo tipo del cazzo. Con la camicetta insolente da bravo pischello. Con la basetta di quello che pensa di saperla lunga.
C’è questo stronzetto. Ed il padre. Un attrezzo col naso sensuale. Che poi è un eufemismo per dire naso grosso ed adunco e da cretino. Occhio da bue. E la madre. Con una permanente indecente da puttana in pensione. O burina rifatta. O ruffiana borghese. Il che poi è lo stesso.
Se ne stanno intorno alla loro bella Opel grigiotopomonovolume. Tordi ed ingessati per la loro cenetta nella pizzeria. Ci si va in macchina in pizzeria. Nel nostro bel primo mondo.
Ingessati ma manco troppo fermi, visto che il bue cretino si ostina a pigiare col suo zoccolo sul volante.
La gente è così.
Non votano. Non si rompono i coglioni per la merda che ci passa tutti i giorni sotto gli occhi. Ma manifestano la loro disapprovazione per la minima stronzata che turba la loro pace condominiale.
Suonano.
Perché tutti. Tutto il quartiere. Finanche tutto il mondo. Finanche tutto l’universo. Venga a sapere che quell’altro, il coglione che si è appena affacciato dalla finestra chiedendo “che devi uscire?” ha parcheggiato la macchina in doppia fila.
Perché tutti. Malati. Pensionati. Infartati. Bambini. Donne e stronzi del quartiere sappiano bene che loro stanno facendo tardi per andare a mangiare la pizza.
Un uomo col cane passa.
E suggerisce di fare una manovra.
“Cinque minuti in più: fa’ ‘a manovra e nun rompi er cazzo a nessuno”. Perle di saggezza romana.
Il bove ride beato. Schiocca la lingua. “Nun me va”.
“Che te ridi?” sbotto io dal mio seminterrato, dove il cofano della bella monovolumegrigiotopo campeggia in dettaglio faro da dietro le grate antiratto.
“Mo’ vengo e te do du’ pizze”.
E quello. Il pischello bluvestito. Tutto tordo della sua acquolina da pizzamargherita. Tutto bellimbustato nella camicetta Ralf Laurent. Da dietro la macchina fa: “e vie’ che t”e do io du’ pizze”. All’unisono con la madre, aihmé, di bella sintesi donata: “e vie’”. Imbecillità romana.
Perché ad andare fuori ci metto un attimo.
Un solo secondo. Giusto il tempo di mettere gli anfibi nerogialli.
Giusto il tempo di incazzarmi come un sorcio. Come una sorca tiberina. L’insolenza di questi imbecilli patentati. L’insolenza di queste teste fatte apposta per essere rotte. Perché oltre a mangiare e cacare non hanno neanche la voglia di pensare. E non dovrebbero neanche avere il diritto di votare, tanto per inforcare un’altra prima declinazione.
Ed il terrore si spalma sulla fronte del bluvestito.
Il bue armeggia col volante, perché intanto che-devi-usci’? è uscito per davvero e se n’è andato più avanti, il rottoinculo mano atrofizzata incapace di scrivere un biglietto di scuse con l’indirizzo et voilà, pure il campanello da suonare.
E allora che fanno? Scappano.
Montano in macchina e non faccio in tempo a metterglielo nel centro della fronte bassa di Neanderthal, il mio manico di scopa.
Troppo tardi.
Perché ho digitato tutto il giorno.
Perché non ho ancora avuto il tempo di comprare un passamontagna. Io lo schiavo della nuova economia. Che si spippa davanti al computer nell’onanismo nudo e crudo des logiciels.
Perché tutto quello che sono riuscito a fare fino a questo momento, con l’aria del nerd che inforca uno dietro l’altro i diagrammi di un complesso sistema di distribuzione del flusso di informazioni per la comunicazione interna in un ufficietto angolo via Morgagni. Tutto quello che sono riuscito a fare è questo.
SoLuZioNi PEr RisOLveRE Il ProBLEma deI ClaCSON Che MI DistRagGono DAll’ItaLICo GloriOSo RinAsCimenTO e dEi MOtoriNi CHe Mi SgaSano NellE FiNestRE
1. Chiodi incastrati dietro la ruota posteriore della macchina in doppia fila (da associare all’altra ingegnosa soluzione detta “chiodiincastratidavantilaruotaposterioredellamacchinaindoppiafila”, altrimenti se il seimpatico vetturiere decidesse di partire senza indietreggiare di un millimetro i puntuti cilindri in acciaio si affloscerebbero come lo zizi di un viagradipendente senza le sue scorte più importanti).2. carezza con la mazza il parabrezza (variante accettata: con la mazza carezza la carrozza).
3. la patata nella marmitta. Soluzione di altri e più cortesi tempi allorquando la ancora precoce proliferazione di veicoli ancora induceva lotte solo con i mercatari del carico scarico. Ma purtuttavia soluzione di breve durata, giacché l’automobilista odierno pretende di conoscere il suo tdi.
4. cavo di acciaio legato alla grata proteggiratti (dovrebbe essere tesa da ambo i lati per far capitombolare il motociclista a manetta sul marciapiede, ma ancora non esistono soluzioni tecnologicamente adeguate per sostenere l’altro capo).
5. pompatromba da stadio sparata in tutta la sua altisonante maestà in sincrono col passaggio del proprietario del burgman o tmax che dir si voglia, per prucurare angina pectoris nel suo cuore malato di smog e, colpo grosso, la caduta nelle cacche dei marciapiedi mai puliti.