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Raffinato e pacchiano l’impero cinese a Roma
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Roma – Sono già stati spesi diversi ettolitri di inchiostro per la mostra alle Scuderie del Quirinale, “Cina. Nascita di un impero”. Non si sentiva il bisogno dunque di riparlarne qui, ma lo faremo lo stesso, dal momento che è previsto un prolungamento dell’evento oltre la data del 28 gennaio. Ma l’occasione è ghiotta anche per verificare gli ossequiosi complimenti rivolti dalla stampa nostrana al maestro Luca Ronconi, che, come è noto, ha curato le “scenografie” dell’evento. La pregevole collezione assemblata per l’occasione e la raffinatezza dei pezzi presentati, contrastano purtroppo con il falso minimale ostentato nell’allestimento.
Hanno fatto un certo scalpore le reti; invisibili diaframmi di fronte alle opere, i soli a separarle – al posto del tradizionale vetro – dallo sguardo: apprezzabile, funzionale, bello, originale. Quello che resta inspiegabile è la quasi totale assenza di pannelli descrittivi associati ai singoli reperti, (dobbiamo finalmente affittare anche noi le audioguide?) ma soprattutto i brutti ghirigori “falsocinese” (o, se preferite, cinese da bancarella) che cingono oscenamente i pannelli specchiati alle spalle delle statue di terracotta.
Certo, il percorso espositivo rimane meritevole di una visita: la mostra comprende 320 reperti, alcuni dei quali mai usciti finora dalla Cina o per la prima volta in Italia, come i bronzi rinvenuti nel tumulo del semisconosciuto Marchese Yi di Zeng (433 a.C.). Notevoli fra questi i tre portatamburo zoomorfi, in cui la delicatezza e complessità delle linee fa pensare al nostro Rinascimento e al Barocco, non foss’altro che le opere risalgono al 400 a.C. circa.
Incredibile per abilità artigianale e tecnica di lavorazione il vestito in giada di epoca Han, che veniva fatto calzare alle salme dei notabili, nella convinzione che la pietra avesse poteri conservativi sulle salme. Ma ancora una volta la bellezza del reperto stride con l’allestimento: infilata ad un manichino che sembra un robot uscito dalla fantasia di un cineasta anni ’50, la singolare veste prende tinte inquietanti, e diviene una specie di immagine incubo.
Impossibile non parlare infine del famosissimo esercito in terracotta: diversi i pezzi esposti, la cui fattura e sintesi estrema del dettaglio sono davvero uniche.
Si tratta di un’armata imponente di migliaia di guerrieri, cavalli, carri da combattimento, a grandezza naturale, rinvenuti nei pressi del mausoleo inviolato di Lintong (Xi’an, Shaanxi).
Notevoli anche i corredi funerari del primo imperatore Han (Gaodi, 206-195 a.C.) e del quarto (Jingdi, 157-141 a.C.). Sono 160 statuette alte fino a 70 cm: fanti, cavalli, cavalieri, servitori, animali domestici, destinati ad accompagnare il regnante nell’aldilà e noi in quello delle ultime perplessità.
Innanzi tutto il prezzo di dieci euro, che, considerando anche l’afflusso, è troppo alto per l’esiguità dei pezzi esposti, sebbene si tratti del maggior numero di opere concesse all'estero dal governo cinese. E se è vero come è vero che l’Azienda Speciale Palaexpo è privata, bisogna anche considerare che essa ha ereditato un patrimonio ed un ruolo pubblici: è dunque intollerabile che non vengano accettati sconti per gli studenti, sebbene sia il caso di plaudire l’iniziativa di riduzione dietro presentazione del biglietto della metropolitana.
Ai consulenti scientifici chiederemmo invece il perché di un percorso organizzato con un criterio cronologicamente ibrido: si inizia dagli esemplari più recenti al pianterreno e al piano superiore si ritorna indietro nel tempo “a singhiozzo”.
Vogliamo confondere i profani? O è ancora un tentativo di offrirci le audioguide?