archivio per febbraio, 2007

quando la fine del mondo

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Quando la fine del mondo
Sarà
Un'esigenza improrogabile
Mangeremo
Chupa chups al miele
Ed avremo sguardi ebeti e contriti
Dal glucosio

Dal rimbalzo della sfera nelle gote

Temo già
che
Non potremo più scoprire
Il gusto
Del chewing-gum
A l'interior

Esercizio di memoria III. Fisica. Libri. [parte II]

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mitterand

Quai de la gare. E ci fa talmente freddo in quel momento, che il bavero alzato sembra troppo piccolo. Il vento è una lama tagliente che monta in direzione della station aérienne. Da questo métro non si emerge, si scende. Il vento è talmente forte che non fai neanche in tempo a piangere di gioia.
Percorrere i 90 metri della banchina che invece dovevano essere 75. 90 metri per tutte le stazioni dalla linea 1 alla 4. Primo Novecento, dopo un lungo dibattito e le riserve delle autorità, parte il progetto del métro parigino. Contribuirà alla decisione positiva la spinta propulsiva dell'esposizione universale che segnerà profondamente la geografia della città.
Ed i fiori di Trouffaut sono sempre all'esterno. Non gelano mai. Forse scaldati dagli sguardi alcoolici di quei tre clochard che se ne stanno tutto il giorno lì davanti, sul caldo invitante della grata, anche quando piove. Anche se la profondità sputacalore è praticamente al centro della strada e davanti ad i fiori.
I divani del negozio stiloso di fianco, invece, stanno tutti dentro. Loro non devono bagnarsi.
Et du reste… "Paris tire sa beauté de ses heurts: celui entre le Centre Pompidou et les petites rues qui l’entourent, le choc du métro aérien à Passy, l’Institut du monde arabe, la Tour Eiffel, la Bibliothèque François Mitterand."
L'asfalto si alza in onda lunga ed il rital la cavalca bordo senna. Lo sguardo verso l'alto. Il naso perso fra le nuvole.

Già. Tolbiac.
L'idea che la Francia ha di una biblioteca è po' l'idea che la Francia ha di se stessa.
Una enorme spianata in legno. Quattro libri aperti dell'altezza di cento metri ciascuno. dodicimilionidilibristoccabili. duecentocinquantamilametriquadridicultura. Scale mobili. Ascensori per accedere alle sale. Due lunghissimi corridoi identici che contornano un bosco di qualche ettaro al centro, in una sorta di fossato attorno al quale si articola una struttura architettonica imponente, fatta di acciaio, vetro e legno. Tessuti che diventano ferro e ferro che si cambia in legno e tessuto. Piloni di cemento enormi che sostengono le quattro torri e otto serie di logge sospese, ad evocare la solitudine monastica dello studio. La dimensione monasteriale e spirituale della ricerca nella enormità di questa cattedrale postmoderna, composta da microunità essenziali. Una biblioteca che riassume tutte le idee di biblioteca della storia.
La grandeur.
Si entra la prima volta nella Biblioteca François Mitterand con la bocca aperta. Il timore per la cultura. La convinzione che non si meriti davvero di entrare nel tempio. Un timore revenziale e lo sguardo ammirato, mentre le scale mobili scivolano lente verso il basso, al di sotto delle torri, fra tornelli elettrici, controlli di sicurezza, raggi X Y Z. Tessere che vengono mangiate senza essere deglutite da bancomat privi di faccia ma con tre braccia ed un culo a fessura.
Ma poi arriva il vento gelido dell'inverno. La pioggia sottile.
Il legno della lunga spianata circondata dagli scaloni assorbe umido.
assorbe
umido
La temperatura scende.
Le torri sono roventi. Dal vetro rilasciano calore. Quattro parallelepipedi roventi. La spianata nel suo punto più largo punta alla Senna, che scorre più in basso di qualche metro.
Per un qualche fenomeno irreprensibilmente legato alle leggi della termodinamica ecco che un vento fortissimo se ne va a spasso proprio al di sopra del bosco, raso all'esplanade, che diventa una steppa sterile e ghiacciata.
Altri parallelepipedi in forma di gabbie (o gabbie in forma di parallelepipedi) contengono qualche cespuglio sfortunato, piegato alle esigenze del nuovo umanesimo francese. Servono per il verde, non per le forme.
E del resto a Versailles non era così differente. Il giardino francese: la mano dell'uomo che configura le forme della natura. Speculum mentis.
Vento gelido.
Le travi gonfie di liquido si irrigidiscono, se possibile. Una brina sottile ma ben radicata copre tutto.
Il vento spinge.
Le passerelle antiscivolo non si vedono.
L'impotenza prevale.
Al di sotto delle torri ci si sente come nella prospettiva Nevskij battuta dal ghiaccio pungente.
Punti neri al di sotto della struttura che diventa pressoché invisibile.
E diventa pure impossibile aiutare la vecchia che appena più avanti scivola via.
Scompare nel cielo col suo ombrello dopo una lunga scivolata a vela sul manufatto vetroso sul quale si trova a camminare. La perfezione, oh yeah, enorme perfezione di un enorme i-pod con contenuti multimediali. Scompare nel cielo. Punto nero nella massa compatta delle nuvole che non lasciano intendere il cielo. vola via lontana. Neanche scomparisse nel blu dipinto di blu, enfoirée de Mary Poppins dei poveri.
S     A     P     E     R     L     I     P     O     P     E     T     T     E     !
E pensare che avrebbe fatto una impressione ben più drôle ai gars in basso che spippacchiano le prime clopes della legge antifumo francese.
Al gelo, s'il-vous-plait.
I pini del bosco hanno allungato la testa per cercare la luce al di là del fossato in cui sono stati reclusi. Reclusi loro. Reclusi i ricercatori che li guardano e non possono passeggiarci (prerogativa dei black lavavetri o dei pompieri forzuti, reclusi ach'essi dall'altra parte del vetro). Reclusi tutti.
La forza della natura li ha spinti troppo in alto nella loro disperata corsa verso la luce. Hanno esagerato, les pauvres. Ed ora non ce la fanno più, esili, a reggere l'impatto del vento che li aspettava proprio sull'ortogonale dell'esplanade.
L'attacco procede anche dal basso. La Seine sinuosa se ne frega dei fasti del buon François e
s    c    a    v    a
s    c    a    v    a
s    c    a    v    a
s    c    a    v    a
Il bosco è risucchiato. Gli alberi insaccati come mortadelle perché non crollino sulla superficie specchiata.
I pompieri sorvegliano regolarmente. Impassibilmente.
Attendono l'accaduto?
O lo prevengono?
…l'illusione della sicurezza…
La cultura come un fatto ostile.
La dispersione del calore. Il riscaldamento impossibile ma sempre al massimo.
La perdita di equilibrio quando tutto questo crollerà su sé stesso ed inghiottirà in una massa rovente le cinquecentine e i manoscritti della sala Y non meno che le enciclopedie ed i dizionari della consultazione libera.
Tutto.
Anche la dame du vestiare. Venti anni appena. E neanche un sorriso in un anno di visita.
Sarà che il rital oggi è nero come la notte più nera che possiate pensare.

Esercizio di memoria III. Fisica. Libri. [parte I]

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mitterand

Puntava dritto a sud nella lunga curva della linea 6.
Ammorbidiva la traiettoria verso ovest. Lunga curva sinuosa. Piazza Italia.
Direzione Charles de Gaulle.
Giacca nera. Velluto e bavero alzato.
Rital di merda.
Giacca nera, bavero alzato, mani in tasca.
Mattina neragrigiocrema. Velo lieve sulle teste. Da incontrare un parigino vestito come lui e spaccargli la faccia.
Tanto era contento.
Tanto gli prudevano le mani.
Tanto…
Tanto il suo prurito nervoso non era tanto diverso dal tanto smanettare incessante delle dita degli altri.
Gli altri.
Gli occhi stavano fissi sul display. Bien sure. Allô, t'es où là? T'es où? A'ô t'es où?
Dovecazzostai?
Nella più misera e distante delle dimensioni cellullari. Sei dentro un cellulare.
2001 Odissea nello spazio. L'uomo scaglia in terra il monolite rettangolare. Luminoso e liscio ed impeccabile come no, amici miei naturalisti, la natura non sa fare.
La natura è brulla è crudele. La natura è ruvida e distorta. La natura si articola per linee insondabili. Mai rette. Niente a che vedere con quella scia di morte silicica che stringi fra le mani. Con quella prevedibilità di input che entrano, vero, ma escono pure a velocità magnetica dentro il tuo sangue, le tue ossa, il tuo cervello.
l        a        t        u        a        m        e        n        t        e
Luminoso come non sei stato progettato per vederlo.
Luminoso e liscio a tal punto che l'uomo del vagone in fondo, in una alba irreale e cruenta, riempe la traiettoria con la sua mano. Un traiettoria letale.
L'i-pod scivola leggero ed insondabile ed enigmatico nell'aria. Scivola in traiettoria talmente retta che non potresti mai immaginare che venga dalla descrizione di una parabola.
Intervengono numerosi teoremi fisici che contribuiscono, da un punto di vista puramente estetico, a creare il giusto effetto di straniante. Quel tanto che basta per applaudire il gesto. Quel tanto che basta per averne abbastanza. Quel tanto sufficiente a vedere l'attonita bellezza perturbante e rivelatoria dell'oggetto. Epistemologia dell'oggetto. Fenomenologia dell'oggetto. Ermeneutica dell'oggetto. Lo squarcio nella realtà e l'apertura singolare di essa sotto la forza stupida ed inerte dell'oggetto.
Il monolite va a schiantarsi dall'altra parte del vagone. Esplodere e smolecolarizzarsi, come tanto sarebbe avvenuto nel giro di massimo due anni.
La durata massima: invenzione della nostra epoca. Un'epoca che non conosce più durate minime. Meno che mai durate eterne.
Il vagone è in tripudio. La vecchia araba davanti al rital si alza e grida. Lancia il velo che porta sulla testa in una moviola quasi tenue.
L'alcolizzato si risveglia e guarda il mondo.
Tutti applaudono e stringono la mano all'uomodelvagoneinfondo.
E' una esplosione di stelle filanti. Mortaretti e bottiglie.
Il rital prende il suo bicchiere e beve. Brinda con l'uomodelvagoneinfondo e si complimenta con la forza di uno sguardo.
Einstein prende nota dal quai. Non lo convince il moto relativo del monolite, ma fa lo stesso in tempo a ruotare la piccola maniglia del vagone e ad infilare il braccio all'interno. Solo il braccio. Ed estrarre, così come si estrae il succo di frutta dal frigorifico, la sua razione di brumba.
Fa in tempo persino a brindare con il rital. Ma stavolta c'è il trucco, perché il bip lungo delle porte ha già fatto il suo corso. E le Docs nere di plastica e pelle sono poggiate davanti alle scarpe di vernice di Albert.
Che saluta e si complimenta.

all’ovest, morire

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diecimilioni.jpg

Dieci milioni di cuori
Fanno un battito assordante
Dieci milioni di cuori
Sotto una nebbia solare
postnucleare
Dieci milioni di cuori
Se battessero all'unisono
Sarebbe un orgasmo
Sonoro
Sarebbe lo scempio
La terra sarebbe
A cedere per prima
Ad orientarsi ancora
All'est
E all'ovest, morire

Esercizio di memoria II. Topografie. Acque.

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 [youtube]2sL51Sefp44[/youtube]

La polizia va in motoscafo, mica a nuoto.
La polizia naviga rapida in linee rette che tagliano le virate nevrotiche della Senna.
Più rapida delle chiatte.
Atalante.
Più rapida della corrente.
Atalante.
Più rapida del legno più rapido da qui al Canal dell'Ourcq.
Basta controllare, del resto, e non rimane che chiudere gli occhi. Sperando nell'incrocio fortunato, l'azzardo strano, fra la chiatta più lenta, il legno più rapido, il detrito sonnacchioso a pelo d'acqua ed il motore roboante del piroscafo blu.
Quello con i fucili dentro ed il lampeggiante blu.
In caso di caduta o annegamento chiamare questo numero.
Cazzo: numero verde. Salvi la vita ad un uomo e non spendi neanche un centesimo in più dal tuo fottutissimo forfait bouyges.
Forfait mensile buygues. (ovvio che non spenderai mai il minimo garantito: sms di invito a cena per i tuoi potes: 30cent, sms d'amore alla fille incontrata per caso sul metro: 30cents, sms di saluto al compagnon di bevuto che parte per un futuro più roseo sulla piattaforma petrolifera: 30cents, sms nero corvino di estratto conto alla tua banca: 60cents; telefonata per salvare la vita ad un uomo: non ha prezzo. Ma solo se chiami in teleselezione.)
Ma io e Gildas dobbiamo girare la testa per guardarci. I piedi sono sulla stessa linea d'ombra. Le mutande rosse ed il fascino demi poile.
Uomo demi poile.
Demi
Poile
E non si capisce perché anche io sia diventato una specie di ratto. Dovrebbe essere lui il più ratto di tutti: sfuggente e sinuoso nei labiriririririririnti del metro che ha imparato a conoscere dall'infanzia.
Angolo sud est. Borgata Montreuil.
E a guardare la punta verde dell'isola della città tappezzata di lenzuoli a scacchi e birre e punti rossi di tabacco ad intensità variabile sembrerebbe quasi che il fiume sia un lenzuolo di seta tagliato dal gesto maestro del beur all'angolo fra il boulevard belleville e la rue Pali Kao.
Angolo di 33° spaccati al centro delle forbici. Movimento raso del bicipite hallal (se lo è la carne che mangia lo sarà anche la carne che lo FA). Leggera pressione sulle dita sul nero della stoffa. Colpo di spalla e mano a disegnare una ellisse verso il basso, come una lunga virgola rovesciata pancia all'aria.
E volo. Ed il suono catastrofico di uno strappo che si fa taglio.
Morbido e rettilineo come il baffo di un gatto.
Lo strappo si fa taglio. Posizione iniziale.
Posizione finale, ad irreversibile compiuto. Le forbici incastrate nella mano destra, il braccio sinistro all'opposto del punto di partenza, come l'estremità di una molla che mi indica la discesa rapida verso il canal St. Martin.
Come seta un taglio al centro della senna.
Come segno un dito puntato al basso.

E ci discendo, io, infine al Canal St. Martin.
L'attesa delle gambe è molle come la delusione di chi va a Bastille e non sa che la Bastille non c'é più. Andata, partita, inutile. Rasa al suolo con tutti i suoi quintali di sale incostrati sul pavimento.
Soluzione fisiologica sgorgata all'incrocio fra le palpebre, lato naso, di chi si è goduto per un po' il fresco umido della cinta amena. A due passi dal porto senza poter partire.
Quel sale oggi guarda in basso il fiume che gli scorre sotto le gambe. Dal ponte della Concorde, prodotto dei materiali di risulta. Avanzo delle migliaia di statuette in miniatura che la Rivoluzione fece del simbolo del dispotismo.
Souvenir.
Già alla fine del Settecento la rivoluzione ed il souvenir.
Distruggo il muro e te ne vendo un pezzetto.
Faccio cadere il comunismo e ti organizzo un museo con le statue di Lenin.
Abbatto la Bastille e ti vendo i mattoni.
Maledette rivoluzioni. Dovevamo capirlo subito. Ma tanto peggio.
E certo che alla Bastiglia non mancavano i trattamenti speciali. nonononononononononononononononononono.
Il buon Voltaire se la chiacchierava amabilmente con Linguet e Brissot. E Latude sudava negli scantinati. Legava le sue camiciule come niente fosse.
Tutto per amore. Tutto per la Pompadour: un falso pacco bomba (oh dear! d'you remember yours iraki holidays?), la gendarmerie che si innervosisce. E lui che rifuta di dire che il suo pacco era un pacco per davvero. Vuole il cuore. Dritto al cuore. Vuole la sua donna. E se ne scappa, tranquillo e sereno per i camini delle torri. Vola via dal rifugio bastigliese (non ti piace l'opera, Jean Henri?). Vola via ben tre volte.
E chissà dove avrà trovato tutte queste camiciule.
E sopratutto dove avrà trovato la forza di ritornare alla prigione, alla vigilia della distruzione, alla vigilia della nemesi, alla vigilia della rivoluzione, per recuperare la magica scaletta.
– Scusi, lei…
– …
– Ero prigioniero alla Bastille.
– …
– Si, sono scappato, e vorrei tanto recuperare la scaletta nel camino…
– …
– Sa com'é, domani radiamo al suolo la prigione e vorrei farla diventare il simbolo della libertà borghese contro l'autoritarismo realista.
– …
– La metteremo al museo Carnavalet.
– Non avete calcolato Napoleone, monsieur…
– Uh? Foutu de rittttttttal.

Napoleone nostro se ne frega più di tutti e ci pensa lui a spaccare Parigi in due. A partire dalla Bastiglia. A rimontare verso la Villette. Creare un bassin. Un porto al nord. Un porto dove prima stava la galera (galera di pietra, hein…) e tracciare una linea retta di acqua potabile dal nord al sud.
Acque.
Acque che portano fin su alla perfida Albione. E non c'é storia: lui, il bassetto, non si sparerà mai il tramonto sotto i ponticelli e le chiuse. Non vedrà mai il passaggio dei flash turistici sull'acqua. Né tantomeno immaginerà che una discreta quantità di tendine marca quechua occuperà i bordi di questo prodigio topografico. o che come ragni gli uomini faranno il loro bozzolo di cartone appeso proprio lì, fra l'aorta e l'intezione dei ponti, sfidando il freddo ed il movimento sporadico dei motori che attivano le valvole e le pareti artificiali della sovrintendenza alle acque. Faranno tane che raccoglieranno calore contro la marea umidafreddaincipiente delle chiuse aperte, delle chiuse chiuse, delle chiuse svuotate.
Canal St. Martin. Parigi romantica in salsa barbone.
A nord allora il passaggio verso l'Inghilterra.
A sud un terrapieno di pattinatori e mercatini. Il canale coperto non nasconde gli sbuffi dei traghetti che passano sotto la superficie della strada. Una serie di pozzi ti ricorda che il cammino verde, sotto, è limaccioso.
Utile, certamente, per la viabilità dell'avenue de la République e del Bd. Voltaire. Ma che cosa fotograferanno i turisti dal battello quando sono sottoterra?
"Je veux partir pour l'autre monde
Par le chemin des écoliers".
Foto dall'oltretomba metropolitano.
Loro parcheggiano il battello al porto della bastiglia. Scendono. Guardano il mercato dll'antiquariato e fotografano l'opèra Bastille ed ignorano che proprio dove stanno poggiate le suole, attaccate al miracolo della gravitazione universale, all'incrocio esatto della retta della rue St. Antoine ed il pavé della piazza. Lì, proprio lì, c'era il maschio parigino col suo ventre pieno di vita.
Ed io invece mi faccio trasportare dall'acqua del canale. Il contatto lieve fra acque ed il corso del fiume ed il canale si sciolgono nel sonno mesto dell'infezione oblunga. Jusqu'à l'ocean.
Potrebbe stendercisi Ofelia ed arrivare ben più lontana. Passare come il corpo di Baldini sotto il pont au change. O come le carte che galleggiavano a pelo dell'acqua alle 9 di quel maledetto 25 ottobre 1499, quando i librai residenti sul ponte avevano esagerato col peso dei depositi.
La cultura faceva crollare il ponte centrale di Parigi ed apriva la strada alla costruzione del primo passaggio sulla Senna in pietra. Jean Trepperel, Antoine de Brie, Gillet Ardouyn, Antoine Vérard, Clément Logis: librai che verranno processati. Se la devono vedere con la municipalità di Parigi per il gesto maldestro. Un processo. E moneta sonante per la ricostruzione. Un rital (pure lui) invece se la ride: è Fra' Giocondo. Lui progetta il ponte più bello di Parigi.
La posizione degli archi è ancora un modello.

Lo sapevi Gildas? Sei sul Pont des Arts, ma gli archi sono gli stessi del Pont Neuf: la passerella delle arti originale è stata demolita. Era pericolante per via della guerra ed era anche troppo pericolosa per i battelli.
Troppe collisioni al di sotto del ponte fra il 1961 ed 1960.
Troooooooooooooooooooooooooppe collisioni. Capisci?
Collideremo dall'alto? Collideremo sul battello? La peniche, Gildas? Hai controllato che non passino le peniche? Hai controllato, gildas?
E l'ectospirosi, Gildas? Tu non ha paura dell'ectospirosi.
Nessun problema. Ora gli archi sono perfettamente simmetrici con quelli del Pont Neuf. Siamo a cavallo. E poi su queste tavole di legno aleggia (evidente: non lo vedi come aleggia?) l'aura sacra della benedizione chirachiana quel maledetto 27 giungo 1984. Si sono dimenticati pure di rifare il giardino.
E chissà se Jacques ci ha pensato che le racailles si sarebbero riunite da queste parti per seminare il panico fra gli innamorati ed i turisti.
O che Vincent, il visionario di Nation, avrebbe trascinato fin qui la sua bicicletta abitabile.
Io non posso gettarmi da qui.
Avrei preferito avere gli alberi ed i giardini alle spalle.
Avrei preferito avere un qualche impressionista a due metri. E parlare del gioioso riflesso arancio che da qui si scorge in lontananza. Il riflesso del fuoco di un jongleur. Giocoso giocololiere.
La gravitazione universale.
La gravitazione che tutto spinge verso il basso.
Non ci si può fare nulla.
Principio e fine della caduta.
Principio e fine del movimento cosmico.
Principio e fine di questo volo morbido di 11 metri (ma come si calcola, poi, l'altezza di un ponte?).
Principio e fine a sfidare di petto la caduta.
Il diaframma che si apre.
Le pupille, pure, probabilmente: roba da endorfine, adrenaline, mescaline.
Tutta roba naturale.
Tutta roba genuina, come la tua follia.
Maledetto Gildas.
Pluff.
Plongeon.

deserto

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deserto.jpg

Deserto,
Immobile morte.
Deserto,
La sabbia
Il vento
La notte.
Deserto
Atleta del niente,
Blu
Déjà-vu.

Esercizio di memoria. Topografie. [parte II]

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Sans papier. E davanti un plotone di esecuzione in blu cobalto.
Manifestazione contro gli Interni (stavolta non c'è ambiguità) di un manipolo di bobo con qualche immigrato nel mezzo.
Una donna che rumoreggia al telefono cellulare e che ha tutta l'aria di essere una delegata del ministero, per come prende seriamente tutta la faccenda.
Un uomo con le scarpe a punta e la camicia svasata (chez celio puoi scegliere fra tre tagli della stessa camicia, a seconda se sei trendy o grasso) che dice "qui c'è materiale per un fondo graffiante".
Una donna grassa che grida "da qui non ci muoviamo". Intanto i sans papier veri tagliano il capanello di curiosi, completamente alcoolizzati. Completamente disinteressati.
Gli unici a stare fermi ed impassibili sono i flics. Che chiedono i documenti a chi entra in strada per andarsene a casa. E che filmano tutti e tutti. Con ben due macchine da presa assai "smart", per la verità.
In stato di occupazione militare non c'è legge sulla privacy che tenga.
Con la barba lunga ed i capelli corti si fermeranno forse un istante di più sui fotogrammi che mi riguardano.

Potere significante, appunto, piazzarsi al centro di Parigi, fra gli alcoolizzati e le puttane. Ma anche potere ambiguo del linguaggio, si potrebbe dire con un certo compiacimento.
Sarkozy stavolta è vittima del segno: la presenza in quella zona precisa (non la Defense, non il XV arrondissement, non il…) è un segno esteriore di solidarietà.
In realtà si tratta di una occupazione militare, che mette in chiaro, utilizzando più o meno volontariamente il codice semantico della guerra, un preciso atteggiamento mentale della destra francese.
Ottenere tutto. Ed ottenerlo per forza.
Intervenire con la presenza poliziesca solo quando il leader sbarca nella terra da colonizzare.
Al di là delle libertà personali.
Al di là dei diritti del cittadino.
In un gran fracasso di polizia e buone intenzioni.