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Esercizio di memoria III. Fisica. Libri. [parte IV]
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Eppure dalla foschia seminutturna del freddo dell'esplanade al sotterraneo rez-de-jardin moquetterossapassofelpato una qualche differenza c'era.
Nel golfo mistico delle logge. Chiuso nella scatola con la lettera Y. Appena in grado di percepire il defilare dei piedi lungo il corridoio. Lungo i corridoi. Scale automatiche e vetri a picco sul pavimento.
Scale automatiche e tornelli. Ancora tornelli. Ancora tornelli.
In una memoria che ha l'ambizione dell'eternità e che si piega sotto lo scalpiccìo di un digitare incessante.
La memoria volatile.
Dalla pergamena all'asfalto, passando per un pugno di bit.
Non ha percepito neanche il movimento lento del personale di sala dietro alle sue spalle. Il fruscio inquietante della mani posate sulla copertina in pelle. I piedi che alternano il suono ovattato con quello secco e sordo e scricchiolante del legno.
E già i due cuscini rossi sono davanti ai suoi occhi.
G U L P
E già la cavità appuntita della postazione accoglie dorso e coperte in pelle di vacca.
Parchemin sostenuto da legno e cordini. Parchemin idurito dalle centinania di migliaia di dita che lo hanno sfiorato.
Dai libri che lo hanno compresso sotto il loro peso, nel buio silenzioso di un monastero. O fra lo sfogliare incessante della Bibliotica di Rothschild.
Acidi e grassi trasferiti dai polpastrelli alla superficie venata della bestia. Strisci di saliva e DNA depositati nella struttura microscopica della pelle. Erodendola. Lucidandola.
Forse gli ambientalisti, ancora loro, si sarebbero lamentati.
Forse avrebbero domandato un mondo più umano. O più animale.
Un mondo che facesse i libri almeno con la carta o col papiro.
Un mondo nel quale sarebbe stato preferibile ammazzare un albero alla enorme sofferenza bovina ed ovina e caprina che la realizzazione di un libro a stampa di lusso poteva richiedere.
Conciare la fibra umida e pastosa dell'albero, invece di scrostare la pecora e sottoporne le pelli ad un pestaggio continuo. Al passaggio nel basico. Poi nell'acido. Nell'acido. Poi nel basico.
Acqua e calce. Calce ed acqua.
Per rendere il supporto eterno.
Per fare dei cunei neri che vi si imprimeranno una scia infinita.
La forza del muscolo.
La bestia ammazzata e scuoiata.
E l'odore del sudore.
Il cavaletto e la depilazione a calce.
La spinta del movimento del corpo che sostiene il protarsi della memoria.
L'erba ed il pascolo che diventano pelle. La pelle che diventa libro.
La forza del sole sul telaio. Il caldo cocente dell'estate che tende la fibra. Indurisce.
Chissà se il mastro sapeva che la sua cartapecora è antica come Pergamo.
Antica come il canale di un centimetro che percorre il retro della facciata di Efeso.
Il canale che con un sistema di ruote faceva discendere il rotolo verso il basso.
Il rital digita qualche numero sulla tastiera.
Un codice quasi segreto e misterioso, più del titolo che gli si associa.
Un enigma.
Un algoritmo che si fa chiamare ISBD. Intermarc. Unimarc. Codici a barre.
Stantuffi e meccanismi leonardeschi si attivano nel ventre roboante delle torri.
Sembrerebbe che del vapore esca da dietro le spalle della donna al banque de salle.
La superficie levigata senza più carnicci: lo scrupolo del passaggio della mezzaluna nel recto, ad asportare gli ultimi pezzi di carne disperatamente rimasti attaccati alla pelle.
L'abrasione della calce nel verso.
La pomicie che perfeziona il candore e la morbidezza della natura.
Fritz Saxl si immagina che per identificare le aree geografiche di provenienza della cartapecora basta vedere al microscopio l'orientamento e la forma dei bulbi piliferi, che restituiscono la razza ed il tipo di bestia. Saxl. Assistente ed amico di una vita per Warburg.
Tutta questa fatica. Tutto questo sudore. Tutti questi pascoli antichi passati nel laboratorio chimico di una bestia per arrivare fin qui. In forma di libro.
Non c'entra niente il silicio.
Zero impatti ambientali e una eternità.
Non si perde la memoria affidata ad un manufatto.
Pensiamo davvero che questo cumulo di bit sia un manufatto?
Pensiamo davvero che la forza delle dita sia superiore alla spinta dell'avambraccio? Al gioco del polso? Alla pressione del trapezio? Alla rotazione del torchio?
La pergamena è croccante sotto le dita del rital. Sotto gli occhi del rital un miracolo di rilegatura.
All'interno la carta e la filigrana e la stampa a caratteri mobili.
La bindella è allontanata dal tenone. Il fermaglio è fatto scattare dall'assistente di sala. Il rito inizia nella cattedrale.
Il taglio davanti è dorato e decorato.
Capitello labbro e nervature sono abrase. Nel contropiatto note a lapis mondate dal tempo.
In 4° a caratteri gotici appresso le officine vicentine di Grossi nel 1616.
L’arte de’ cenni con la quale formandosi favella visibile. Si tratta della muta eloquenza che non altro che un facondo silentio. Divisa in due parti.
Repertorio gestuale, senza illustrazioni, nel quale si parla della favella che si vede.
Vedere la parola. Come i muti.
Come i chi i sensi non li aveva ancora annichiliti dietro le fluorescenze catodiche del quotidiano.
Elenco di pose e gesti provenienti da una insondabile stratificazione del sapere. La retorica antica. I classici latini. La commedia alla moderna. Le sacre scritture. Gli illustri ed i loro lustri di avantieri e di ieri.
L'alfabeto elementare per sondare le significazioni infinite di una scena grottesca del 1524.
Quello che oggi si cela nella distanza glaciale dell'emoticon allora stava dietro il movimento delle mani e degli occhi. Dietro pose che si facevano icone. Dietro un corpo che si faceva presenza e segno ed incontro.
Il linguaggio circola nell'occhio. Il corpo spinge il linguaggio scritto con la forza del sudore.
Le pagine scorrono.