28
giu
inviato nella categoria
la facoltà di giudizio | 2 Comments »
Manipuler l’environnement jusqu’à en construire des nouveaux.
Construire l’environnement.
Il est bien évident que l’homme a crée par la ville une espèce nouvelle d’habitat. L’architecture modifie la ligne de l’horizon, les migrations des oiseaux, le développement d’espèces.
Mais surtout la vision géométrique de la ville contemporaine change la pensée et pose l’homme devant une nouvelle essence de soi-même.
Les photos de Lucie & Simon que nous avons vues exposées à La Bellevilloise (EARTH VISION jusqu’au 18 juillet) observent la présence mentale de l’homme dans son espace.
Seul animal capable de créer un « milieu naturel » inapte à soi-même, dangereux, aliénant mais aussi signifiant et chargée d’une intentionnalité, l’homme a pensé pour soi un labyrinthe de lumière.
Un plein de formes (la ville) contre le manque de présences humaines.
Début, au centre d’un accident manqué la voiture avec sa vitesse destructrice est en train d’arriver ou vient de passer. ETOURDISSEMENT.
De profil sur en chemin de fer, près des présences humaines qui n’arriveront jamais.
Début sur un serpent de béton en attente de l’explosion soudaine des immeubles de verre transparent.
Un aéroport qui se prolonge comme dans une scène de théâtre, AU DE LA DE LA PHOTO, toujours en absence de corps.
Les carrés d’une architecture comme dans un vertige abstrait.
Il s’agit seulement de sept photos, mais il vaut la peine de monter à Ménilmontant pour boire un coup (oui, on peut en boire à moins dans Belleville… mais ne soyez pas radins) et s’étonner des mêmes visions de ces deux artistes.
http://www.lucieandsimon.com
24
giu
inviato nella categoria
poethika | No Comments »
E che succede al mio cerebro
Leso
Vedi? Alle spalle non ho che fatti
Senza senso
E mi sto giorno e notte in questa luce
Che viene da lontano
Nelle trame di una rete
Orgia
Vanitosa gravità
Vanità di Vanità
Jusqu’à en perdre le souffle
Perché tutto ciò che faccio
- I miei fatti
Da disperdersi nel riso di un DIO ridicolo -
Semplicemente
non esiste
O esiste solo tenue
In questo bagliore.
E si che è stata una perdita d’equilibrio
Incontrare questa scesa del tempo
Come sotto la pioggia, sottile, di Parigi
E questa bolla africana
Che scalda Roma ed il clima ne
FUNESTA
Come al secco
il tino
Il vino, attende.
21
giu
inviato nella categoria
la facoltà di giudizio | No Comments »
On est un peu en retard, bien sur, pour en parler mais on le fera quand même, car il s’agit d’un musicien italien presque inconnu en France et pourtant de goût français ou, mieux que ça, international. On est en train de parler de Roy Paci (et de « sa » band, Aretuska) qui a joué à Rome le 15 juin.
Sicilien d’origine et d’esprit, Roy Paci est un jazzman trompettiste éclectique qui après une formation musicale traditionnelle à coups de piano est passé par les sons africains et sud-américains, par le ska et le pop alternatif, par le hip hop et la musique du monde.
Dans le joli cadre de Villa Ada le concert n’a pas déçu ceux qui avaient envie de danser : Deux heures et plus de musique au maximum avec « le bonus » d’une bonne partie des musiciens qui ont participé à la dernière fatigue du group, l’album le plus ouvert au panorama italien et international. On voit dans la « tracklist » de ce « Suono Global » Raiz de Almamegretta (formation de succès chez le rock italien), Cor Veleno (rappeur de la nouvelle scène romaine), Caparezza (rappeur alter-mondialiste du profond sud), Manu Chau (pas besoin d’explications) et Sud Sound System (qui vous peuvent rappeler Massilla Sound System).
Le sud, bien évidemment, au centre.
Pas des mots pour le concert : La majeure partie des hits du présent et du passé de « Italiano a barcelona » à « Up and down » ; de « Viva la vida » à « L’isola dei fessi » bien enchaînés dans une séquence senza tregua.
La qualité et la quantité des genres touchés par la formation sont incroyable et ne renoncent même pas à des longues improvisations surtout sur les coté des trompettes et des percussions.
Folie collective avec interventions mélangées, ambiance familial et un irrésistible tapis rythmique : La communauté sicilienne de Rome était copieusement présente et le ska et le raggamuffin parfaitement mélangés avec des sonorités qui nous rappellent comment la Sicile est au centre du sud.
Pas seulement de celui italien.
Le site internet de la programmation de Villa Ada “Roma incontra il mondo” : à ne pas manquer
Le site internet de Roy Paci et Aretuska
15
giu
inviato nella categoria
la facoltà di giudizio | 3 Comments »
Qualche tempo fa sulla lunghezza dell’asse di via Taranto e via Magna Grecia hanno fatto la loro timida comparsa quattro linee bianche, tracciate in maniera semiatrigianale, riflesso vago di due geniali piste ciclabili.
Oggi nello stesso punto l’asfalto è cambiato, le righe gialle in terra segnalano lavori in corso. Alcuna traccia resta di vere piste ciclabili né di cantieri per farne.
Metà giugno 2007: dopo una lunga serie di polemiche sui tempi di lavoro, la Decaux, collosso francese che fa arredamento industriale per la metà e più delle capitali europee, ha lavorato giorno e notte portando quasi a termine il progetto più ambizioso d’Europa per lo sviluppo della mobilità in velocipede: Parigi si dota di un parco pubblico di bici sull’esempio della piccola Lione.
Si chiama velib’, bici e libertà: si compra una scheda magnetica annuale, giornaliera o settimanale ad un cifra quasi irrisoria e si può usufruire delle bici pubbliche, gratuite per la prima mezz’ora di utilizzo, a pagamento per le ore successive.
Le cifre fanno impressione: i detentori della carta potranno scegliere fra 1451 distributori automatici che daranno la possibilità di depositare e ritirare liberamente oltre 21.000 biciclette.
Ed il comune è pronto a replicare, se il progetto dovesse avere il successo sperato.
E l’aria è quella della riuscita, preparata negli anni passati con una seria politica di promozione e diffusione della bicicletta come mezzo ecologico, sano, pratico.
Sommando seccamente il numero delle nuove bici pubbliche a chi la bici la usa già a Parigi arriveremo a quasi centomila ciclisti attivi sulla città.
Il coraggio delle scelte di mobilità del sindaco Delanoe sembra un sogno per chi è abituato all’italico savoir faire.
Nel giro di cinque anni la vecchia rete parigina di piste ciclabili è infatti raddoppiata ed attualmente vanta 320km di percorso fra intramuros e “proche banlieu”.
Il che è frutto di una serissima strategia di analisi del traffico che ha visto nei mesi passati centinaia di stazioni piazzate nelle vie principali come in quelle più secondarie, per comprendere l’andamento del flusso dei veicoli per le strade ed adottare una cartografia idonea delle stazioni di distribuzione delle bici pubbliche, ma anche dei parcheggi per bici private.
Non ci si è arrestati di fronte a nulla: né al disagio procurato prima e dopo agli automobilisti (prima per il lavori, dopo per la riduzione drastica di alcune arterie di scorrimento e la loro chiusura settimanale), né agli svantaggi per la società di trasporti pubblici RATP. Con un messaggio chiaro per tutti: nella città moderna, nella città del futuro l’automobile deve sparire. Una possibilità che nella capitale francese si avvicina, favorita anche dal potenziamento della già potente rete di trasporto metropolitano e l’allestimento di una circolare di Tram che segue la linea esterna del peripherique (il GRA di Parigi).
A Roma le piste ciclabili raggiungono ufficialmente la lunghezza di 150km, contando però anche gli itinerari verdi e gli argini del tevere, quelli cioé “non-realizzati” giacché un parco è già una spianata ciclabile e gli argini del tevere lo sono in sé.
La formula di Delanoe è semplice e fa appello ad un sentimento che i nostri amministratori hanno messo da parte da tempo: il coraggio.
Un coraggio che punta tutto sull’intervento diretto sul tessuto urbano.
Coraggio di non arrestarsi di fronte agli interessi delle categorie dei privilegiati come accade a Roma con i tassisti o con la mafia delle fasce blu. Coraggio di togliere asfalto ai pneumatici motorizzati per riconsegnarlo all’energia fisica.
Coraggio insomma di stringere le strade, occupare le corsie preferenziali, costruire vie ciclabili nel senso contrario di marcia, segnalare con pannelli e semafori le svolte e le vie preferienzali per le due ruote.
Coraggio di investire per il pubblico senza pensare a priori ai ricavi (e a chi li avrà).
Ed eccoci qui.
Amsterdam, capitale della bici con i suoi ottocentomila abitanti lascia il posto a Parigi, prima megalopoli europea “ad alta ciclabilità”.
Per Roma (e per i nostri amministratori) non ci sono più scuse.
Il sito del servizio Velolib’ http://velib.paris.fr/
Il sito della mobilità di Parigi
Le striminzite iniziative del comune di Roma
I don Quijote della bicicletta a Roma
13
giu
inviato nella categoria
la facoltà di giudizio | No Comments »
Breve e potente. Null’altro da dire per il concerto di white stripes che abbiamo visto allo Zenith di Parigi.
Dalle parti del parco tecnologico della Villette la sera del 16 ottobre si sono riuniti migliaia di teenagers e qualche attempato, per seguire il duo campione di incassi nel 2003 con l’album Elephant. E tutto questo a costo di una accurata perquisizione come non ne abbiamo mai viste in un concerto.
Quello che dimostrano sulla scena fratello Jack e sorella Meg White è che il rock è ancora vitale, e che le declinazioni garage, grunge, pop, electro, indie non bastano ad annientare il potere funesto ed originario del mito rock, la forza della chitarra distorta e della batteria a raffica di mitra.
Un concerto volato come un soffio solforoso, con tutto il sudore che si può pretendere dalla chitarra e dalla platea. Neanche una pausa, del resto, per i white stripes che hanno incatenato i successi più forti dei loro album mettendo alle strette un parterre letteralmente infuocato nel tempo dei primi quattro pezzi.
Ma la fatica (la generazione presente non era proprio quella dei Sex Pistols) si è fatta sentire: fra uno slam e l’altro ecco la riduzione progressiva del pogo e la magia degli accendini nell’intervallo delle ballate.
Il duo americano ha affondato la lama nel suo repertorio sputafuoco con “Dead Leaves and the Dirty Ground”, “Blue Orchid”, “I Think I Smell a Rat”, “Hotel Yorba”.
Disinvoltura sulle corde della chitarra, prepotenza di classe sulle pelli della batteria ed una peregrinazione continua di Jack fra una trincea di microfoni effettati e le tastiere suonate con la mano destra.
Il bello è arrivato però sulla mezz’ora di bis concessa dopo i rapidi cinquanta minuti di apertura e al prezzo di dieci minuti di ovazioni. E’ qui che si scatenano i momenti più intensi con “Hardest Button to Button” e “I Don’t Know What to Do with Myself”.
E finalmente una esplosione di salti e spallate con “Seven Nation Army”, che in ricordo della vittoria del mondiale usciva assai eclettica dalle ugole francesi.
13
giu
inviato nella categoria
the T.Blair which projects | No Comments »
Œil, occhio, ojo. Du latin, oculus « organe de la vue », mot qui désigne aussi tout objet en forme circulaire comme les dessins sur la queue d’un paon, les bulbes, les tache sur la peau des animaux et sur les fourrures.
L’œil se caractérise linguistiquement surtout avec sa forme, son utilisation figurées n’existant que pour définire une forme analogue à l’œil : curieusement les fonctions liées à l’activité de voir ne semblent pas être prioritaires de ce point de vue. Donc la fonction principale de l’œil reste de quelques façons caché par rapport à l’emploi de la parole dans le langage.
Le mot « oculus » – d’où comme on vient de dire les langues latines ont dérivé les respectives formes modernes – a une racine indo-européenne en iksate « il regarde » ; telle racine figure dans les adjectifs latins en –ox comme ferox ou atrox, qui expriment un excès, quelque chose de remarquable.
La mutation du mot dans les différentes langues est fortement conditionnée par les croyances attachées au mauvais sort transmis par l’œil : le « mauvais œil » “pratique” magique qui en italien s’exprime par un seul mot, « malocchio ». Dans l’Avesta, le nom correspondant à l’ancienne forme neutre de la racine, avec élargissement en « s » désigne l’œil des êtres malfaisants. En vieux perse l’œil est nommé (h)u-čašma, littéralement « bon œil ». Chez les Grecs on a même volontairement altéré le mot en arrivant à « ophthalmos » ; chez les Irlandais le nom originaire de l’œil (considéré de mauvais augure) par celui du soleil « sùil ».
Il est à cause du même effet de tabou que dans les langues latines on n’utilise pas de mots dérivés de l’organe de la vue pour exprimer l’idée de voir, qui se rapporte plutôt à l’activité de la connaissance (« voir ») ou bien à l’observation analytique et narrative ( « inspecter » , « spectacle » ). Et du reste les formes de vision dérivées du mot œil (français : « œillade », italien : « oeillade » mais dans cette dernière langue encore plus évident en « occhieggiare », « lorgner ») ont une forte connotation négative.
Il se passe (et s’est passé) souvent chez les populations primitives (par exemple chez les Lakotas) que les membres des tribus, familles ou groups sociaux se refusent d’être pris en photographie, étant cette technique une sorte de redoublement de l’œil, sa reproduction de la réalité étant plus proche à la vision qu’à la représentation (qui est toujours une activité d’expression).
La valorisation de la vue comme activité de reproduction concrète et sérielle d’abord du monde et après de l’existence même des individus est un phénomène des époques récentes de notre coin de la planète.
Du reste chez beaucoup de civilisations (et – d’après notre petite excursion étymologique dans l’ancien occident aussi) l’œil a été considéré comme le plus facile des sens et pour cette raison le plus trompeur entre eux, d’où la nécessité de développer les autres dont les capacités de connaissance de l’environnement sont tout à fait extraordinaires.
Notre civilisation, la plus aveugle de l’histoire de l’homme, a mis l’œil au centre de sa culture.
7
giu
inviato nella categoria
brut-idéo, the T.Blair which projects | No Comments »
Comprare il biglietto per un concerto. Il desco di lavoro si popola di presenze magnetiche ed in movimento. Attrazioni fluorescenti.
La pubblicià entra negli interstizi del lavoro, dell’amore, dell’amicizia. Internet. Contattare il mondo in un microsecondo. Attraversare i gangli che ci dividono dalla realtà. Maglie nervose che ci tengono in rete.
E la realtà che si riprone in forma di acquisto.
Non si può resistere.
La toile è rapida.
Cinque minuti per ricaricare la carta di credito.
Altri dieci per l’acquisto in linea.
Qualcosa va sempre come non dovrebbe.
L’incidente è sempre dietro l’angolo.
Clicchi, procedi. Il cestino si riempie e si svuota. La password è perduta. L’email non è ricevuta. La casella registrata non esiste più.
Inizia la scalata.
Telefona alla FNAC che ha preso i tuoi soldi, gettandoli in un limbo virtuale, una sospensione in cui potrebbero fare il giro del mondo. In cui potrebbero passare nelle mani di un brooker newyorkese o acquistare un obiettivo fotografico in hong kong.
La FNAC non trova la transazione.
Telefona alla banca.
La tua banca trova la transazione e l’ha già accuratamente messa da parte, divisa dall’ammontare di bit spendibili.
Dov’é la sede della FNAC più vicina?
Internet, ancora.
Cercala. A rischio di non trovarla. A rischio di imprecare se manca la mappa. Altri cinque minuti.
Dov’é la via?
Internet.
Altri cinque minuti alla ricerca dell’indirizzo che si nasconde alle leggi dell’alta accessibilità.
Corri alla FNAC. Spera che il rapporto diretto con il tuo venditore abbia un effetto.
Ma lo sguardo della cassiera è vitreo.
La carta non passa.
Il numero non torna neanche lì.
E allora scrivi una email al centro assistenza per sapere che fare.
Ti daranno comunque il biglietto che HAI GIA’ PAGATO?
No.
La legge di dio è la legge del terminale.
Il numero non torna. La sigla deraglia e non quadra.
Ti senti un ladro.
L’oscillazione metallica delle frequenze sonore registrate al centralino.
venti minuti di attesa la telefono.
Prezzo (tutto ha un prezzo. Il tuoi cuore ha un prezzo per costoro?): 0,13 centesimi al minuto.
Oltre alle spese di prevendita del biglietto, bien sur.
Ed il consiglio di richiamare.
L’aria era fresca quel giorno. Sarebbe bastato inforcare la bici.
Qualcuno può fare un calcolo del tempo totale? Abbondando un po’, giacché le misteriose avventure dell’internauta possono essere anche peggiori.
Spostare gli oggetti. Tenere fermi gli uomini.
Quale mente malata può concepire un tale progetto?
Quali menti malate possono accettarlo?
Sarebbe bastato inforcare la bici.
Allungare un po’ per la rue faubourg du temple. Deviare prepotentemente a sinistra, sul cammino verde. La pista ciclabile, fino alla bastiglia.
Legare la bici.
La brezza sui peli delle braccia.
I biglietti sono lì, appena un metro sotto terra, nei sotterranei della musica.