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kinkaleri: ad ovest della tua morte
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Strappi improvvisi della realtà come illuminazioni: l’arte non contribuisce più all’interpretazione del reale. Essa è – semplicemente – in un atto.
In una sequenza di morte.
O in un eccesso di violenza rabbiosa ed ingiustificata.
L’estetica di Kinkaleri è un’azione diretta sulla ghiandola pineale. Stimolazione sensoriale pura con al centro l’imprevedibilità dell’azione. O la sua assoluta prevedibilità, ottenuta nella reiterazione di gesti e fatti insoliti ma dalle apparenze del tutto ordinarie.
Atti che diventano reagenti chimici, creando una interazione sottile ed imprendibile col reale e liberandone l’immagine latente, come pellicole o daggherotipi mentali.
È questo il gioco di WEST, progetto giunto alla sua ultima tappa con una sessione di riprese a New York a fine novembre, ed il cui esito sarà una videoinstallazione, sorta di sequenza casuale di interruzioni di vita. L’idea è semplice: nel contesto urbano occidentale filmare finte morti, cadute concertate quasi per caso con passanti più o meno consapevoli.
È il gioco della presenza. Essere qui ed ora e chiedere ad uno sconosciuto di simulare un improvviso decesso: gesto normale per un bambino ma che per un adulto si rende reale e dunque possibile solo nella protezione della finzione, dentro la scatola ottica dello schermo, dentro ad un caleidoscopio di sicurezza.
Una serie di e-mail dà l’appuntamento: vi si legge
« VIDEOCAMERA X, SAT 24 Nov 2007
10:30 am – Battery Park: at the entry of Battery Park, corner Battery Pl. / Greenwich Street
02:30 pm – South Street Seaport: corner Fulton Market / South Street »
Appuntamenti al buio, dettati da una intenzionalità o semplicemente dalla compresenza, hic et nunc, di corpi cittadini.
Quante compresenze si contano nelle nostre città?
Infinite.
Eppure ce ne accorgiamo solo quando esse si realizzano con un individuo conosciuto, con qualcuno che ci è già noto e che ha già condiviso una parte anche minima della nostra storia.
Ma non è più straordinario che io e te mai visti prima d’ora siamo nello stesso bar?
Non è straordinario pensare a come vite che non si sono mai scontrate, improvvisamente cadano nello stesso punto, in una contemporaneità, provenienti ciascuna da un suo percorso, da una sua strada, da una sua sequenza di esperienze tutte individuali?
La città occidentale scorre sempre nella stessa direzione e noi, come fibre tirate dalla corrente di questo fiume, la seguiamo.
E se ci fermassimo?
Presenze ed azioni, organizzate sempre più in maniera verticale, sincronica: ecco cos’è la metropoli.
E se ci fermassimo?
E se guadagnassimo una posizione orizzontale?
Restare a guardare la città e crollare, mentre la città continua a guardarci ed a scorrere, indifferente: chiedere un gesto antico (eppure nuovissimo), un gesto superfluo, ad uno sconosciuto. Ottenerlo e fissarlo nella labilità del video ed acquisire la coscienza di quanto sia superfluo ciò che il nostro mondo spaccia per necessario.
Rompere il ritmo ed uscire dalle sue necessità: un atto di forza che però rinuncia all’eroismo per parlare solo in termini di storia minima.
Storie minime di morte.
Perché anche la morte, nel nostro presente, è routine e messa in scena. La morte, nel nostro occidente, ha rinunciato alla ferinità, al rito, al tragico, al magico. La morte è una interruzione, staccare il filo, perdere il ritmo.
Quelle di Kinkaleri sono decessi che operano in autonomia, privi di qualsivoglia componente comportamentale o interpretativa; morti prive di un senso antropologico, “ultime cadute possibili” in un mondo che, visto con appena un millimetro di scarto all’esterno, ci sembra sempre più improbabile.