fenicie, tragedia del postmoderno
scritto lunedì 19 febbraio 2007 alle 11:00
“Fenicie”, un adattamento di Gabriele Vacis dell’omonima tragedia Euripidea incentrata sulle vicende dei Sette contro Tebe, si muove sui confini dell’astrattezza, immaginando la progenie maledetta di Edipo, in un clima sempre in bilico fra modernismo postindustriale e suggestioni di un mediterraneo antico. Il lavoro nasce da “Cori”, un laboratorio sulla funzione del coro nella tragedia greca, che il teatro Settimo – di cui Vacis è uno dei fondatori e dei principali animatori – aveva già avuto modo di portare in scena per la rassegna “Maggio cercando i teatri”.
Quello di “Fenicie” è un percorso che va a ritroso nella storia del teatro, ripristinando e modernizzando il ruolo che il coro assumeva in Euripide, un ruolo di mediazione fra realtà e fantasia, sospeso in una dimensione temporale totalmente astratta, che possa “rimettere in circolo il passato”. Una scelta dunque, che non vuole avere solamente un contenuto di carattere linguistico, ma che cerca di scavare ulteriormente in quelle che sono le tematiche tipiche di Gabriele Vacis – noto anche al pubblico televisivo per il testo scritto con Paolini sul disastro del Vayont e per la trasmissione “Totem” -, impegnato da tempo in una ricerca sul valore del ricordo e della sua ricostruzione narrativa.
Una vicenda senza tempo, la lotta fratricida, assume così tutto il suo valore nella contemporaneità delle guerre etniche; e questo avviene attraverso una attualizzazione che vive nel testo mediata da un italiano fra il colloquiale e l’aulico, e dai costumi, frutto di un’ibridazione fra antico e moderno: un processo in cui le stesse sferzate filosofiche antisofistiche di Euripide delineano prospettive inquietanti, nel momento in cui il relativismo delle verità di Eteocle può diventare violenza e lutto.
E per paradosso, tutta la bellezza del testo di Euripide viene riportata alla luce nella sua originarietà, ma da un punto di vista non filologico, che fa dell’essenza umana il maggiore punto di contatto fra la nostra società e la Grecia antica, proponendo a noi contemporanei uno sguardo su Euripide attuale come attuale era la tragedia allora. È così che le mura di Tebe possono essere riscoperte nelle cataste di taniche di benzina di una guerra fra tante, e che il boato dei caccia può evocare il passo incalzante di un esercito in armi.
(visto al Teatro Valle – Roma – Febbraio 2001)