il sopruso monologico: kohlhaas
scritto martedì 3 aprile 2007 alle 21:54
Sul palcoscenico Marco Baliani è solo. Una sedia. L’atmosfera è neutra. Riflettori bianchi freddano le linee del volto dell’attore. Con disinvoltura, appena dopo un attimo di silenzio, prende il via il racconto.
E’ la storia di Michele Kohlhaas. La storia di un sopruso avvenuto nel 1500, in Germania, a seguito del quale si avvia una reazione a catena incontrollabile, fatta di violenze, insoddisfazioni, superstizione; un turbine di eventi che divengono lo spunto per diversissime riflessioni sull’uomo e sulla giustizia.
Lo spettacolo si intitola Kohlhaas, in scena al Teatro Valle di Roma fino al 30 Aprile, assieme ad altri due “esperimenti” (Tracce e Corpo di Stato) sempre scritti ed interpretati da Marco Baliani.
Fra cronaca antica ed orizzonti mitici, movendosi sulla traccia del romanzo di Von Kleist, Baliani fa sopravvivere lo spettacolo in un minimalismo assoluto, privato di musiche e scenografie, interamente costruito sulla gestualità, la parola, il silenzio. E’ così, che nell’ambito di questo estremo gusto per l’essenza, tutto è lasciato all’immaginazione dello spettatore, ed il battere ritmato dei piedi sul palco può realisticamente avvicinarsi al rumore di un cavallo lanciato al galoppo.
Marco Baliani è fra gli esponenti di maggior spicco di un nuovo e significativo momento della drammaturgia italiana, che vede nel monologo la sicura via di uscita da un teatro dell’assurdo che molto ha regalato ai palcoscenici del nostro paese, ma che su di essi ha continuato ad incombere sino a qualche tempo fa.
Ed effettivamente, la forma monologica inventata da Marco Baliani, Marco Paolini, il Teatro Settimo, Laura Curino, Gabriele Vacis, sembra essere una soluzione vincente – l’unica per il momento, anche per ragioni produttive – nella costruzione di un nuovo teatro che sia funzionale alle esigenze del pubblico (e così anche alla narrazione), tenendo conto allo stesso tempo delle evoluzioni del “teatro nel teatro” innestate in Italia dagli anni ‘20 in poi.
Ma pur collocandosi in questo ampio ed interessantissimo panorama italiano, Baliani si mantiene su un genere molto personale e variegato. Ed infatti, nel caso di Kholhaas la rinuncia ad ogni accorgimento tecnico particolare, sembra essere motivo di scostamento dagli spettacoli di Paolini, oltre che da uno dei suoi ultimi spettacoli, Gioventù senza Dio; mentre invece sia per tematiche che per scelte drammaturgiche il lavoro ricorda di molto il precedente Corpo di stato.
E’ nella semplicità scenografica e nella linearità dei testi che Baliani riesce a catturare l’attenzione, a movimentare il monologo; quello stesso monologo che sta prendendo caratteristiche di forte stimolo su pubblico e “addetti ai lavori”, nell’elaborazione-rivalutazione di vecchi e nuovi moduli espressivi.