Shakespeare sospeso fra essere e non
scritto lunedì 11 dicembre 2006 alle 13:39
E’ sorprendente quanto la forza della parola shakespeariana possa rinnovare, e per certi versi aumentare, la sua violenza espressiva se isolata dal contesto originario, in un collage che la ponga in relazione con situazioni al di là della pura concretezza drammatica di una singola tragedia.
Avviene proprio questo in Essere e non, uno spettacolo di Roberto Latini e Gianluca Misiti in cui si cerca di sondare le relazioni fra la vita e la nonvita (attenzione, perché non di morte si tratta, ma di nonvita in quanto Shakespeare inchioda in un limbo ectoplasmatico i suoi individui cosmico-storici), attraverso le rarefatte vicende dei fantasmi violentemente sottratti all’esistenza, in Riccardo III, Giulio Cesare, Amleto e Macbeth.
Roberto Latini, in quella che è la prosecuzione naturale di un percorso iniziato con Epifanie d’una tempesta e La quiete prima, si districa così fra gli enigmi dell’essere e non, fra confuse presenze che vivono il dramma dell’assenza proprio nel capovolgimento della scelta amletica: da “essere o non” a “essere e non”.
Un monologo in cui la parola riacquista il suo carattere evocativo, coadiuvata dalla psichedelia delle musiche e delle proiezioni, fra le quali si aggira con mosse talvolta meccaniche, talvolta liquide, la bravissima Caterina Inesi, una delle promotrici del gruppo di danza contemporanea Travirovesce.
Il pubblico viene immerso così nel mondo dicotomico dell’onirico shakespeariano: scegliere un percorso, che determini il punto di vista della morte o della vita non importa, ed arrivare nella stanza degli orribili ricordi di questi spettri traditi, torturati dall’incubo del passato e non astratti tormentatori del presente.
Ma padrone indiscusso degli spazi dell’Associazione Vecchio Mattatoio (alias blue cheese), riadattati proprio per questo spettacolo, è sicuramente lo spettro di Shakespeare, che alla non trascurabile distanza di quattrocento anni è ancora in grado di acuire, sia nel teatro ufficiale che in quello underground, la necessità di espressione di una costante – la vita e la morte dell’uomo – nei suoi testi talmente astratta da mantenersi shakespeariana al di là delle contingenze estetiche.
Visto in febbraio 2001 – bluecheese