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l’ambiente? una sfida industriale (parte I)

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broceliande - copyright artMobbing @ rk22.com
Una sfida rimbalza nel chiacchiericcio congiunto di tutti i media.
E’ la sfida dell’ambiente. Per cui ci si è improvvisamente accorti che il pianeta sta morendo, che la terra scalda, che il carbonio immesso nell’aria dai duecento anni di luce (elettrica) che ci separano dall’illuminismo, è letale e distruggerà mondo e razza umana.
La sfida rimbalza da una televisione all’altra. Dal talk show al documentario, dal documentario all’inchiesta politica l’ambiente è urgenza, la più importante emergenza per le generazioni presenti e per quelle future.
Per le generazioni future, soprattutto.
Eppure in questa rinnovata attenzione per i problemi legati ai gas serra e più in generale all’inquinamento della terra e dell’aria c’è un sospetto.
Ma andiamo per ordine.

Raramente si considera la relatività del fenomeno dell’inquinamento ed altrettanto raramente si considera che AMBIENTE non corrisponde a NATURA. E’ molto più pregnante da questo punto di vista la parola francese per ambiente: «environment», ciò che ci circonda, insomma, e non NATURA, nuvola totale e bolla che ingloba tutto il cosmo.

Vista la grandezza cosmica di Natura, allora, l’uomo non sta distruggendo Natura, ma una sua infinitesima parte, che forse siamo autorizzati a chiamare AMBIENTE.
Non dobbiamo mai dimenticare, infatti, che come virus siamo così piccoli che arriviamo appena ad inquinare lo spazio prossimo. Come batteri che dagli starnuti infettino appena l’aria di una stanza.

Siamo ancora distanti dall’inquinare il cosmo, ma nell’inquinamento della nostra piccola sacca d’aria incollata alla superfice terrestre vediamo la catastrofe universale. Quasi il mondo ed il cosmo dovessero finire (o smettere di produrre vita) in assenza dell’uomo.
Inutile dire che è un retaggio cristiano, una rilettura pagana e post-tecnologica della centralità dell’uomo nel disegno cosmico e divino.
L’uomo intacca la sacca di gas che solo fortuitamente si è aggregata attorno al pianeta terra. Il che non corrisponde al Mondo tutto, se non in una prospettiva radicalmente antropocentrica.Antropocentrica, attenzione, non umanistica.

Antropocentrismo.

Il ciclo del riscaldamento terrestre corrisponde ad un ben preciso moto geologico e climatico.
Il nostro pianeta ha vissuto stagioni.
Ed altre ne vivrà.
A noi è stato dato di svilupparci da minuscoli mammiferi a ciò che siamo oggi per via di una miracolosa “finestra” in cui le temperature si sono rivelate più adatte alla nostra vita ed alle nostre condizioni.
Ma cosa ci fa arrogare il diritto di pensare che la terra, in costante evoluzione, debba mantenere il clima che più si confà alla nostra specie?
Arroganza, appunto, antropocentrica. Arroganza di chi sfrutta le risorse fino all’ultimo grammo e poi vorrebbe che la terra non realizzi la sua operazione di riequilibrio.
Già, perché l’innalzamento globale delle acque non è una tragedia, ma la soluzione all’aumento delle emissioni serra: se guardiamo le frequenze millenarie di riscaldamento e raffreddamento del globo terracqueo, infatti, ci accorgiamo facilmente che ad un aumento dello CO2 corrisponde un riscaldamento, seguito dall’aumento del livello delle acque, il quale livello delle acque mangia e riassorbe spingendole sul fondo, le molecole di biossido di carbonio nell’aria, comportando così una progressiva riduzione dell’effetto serra e così del calore.
Un pendolo perfetto e virtuoso.

Chissà cosa pensano i nostri amici rettili del riscaldamento globale: non possiamo negare che essi con un mondo ben più caldo di quello attuale, si troverebbero a proprio agio…
E che dire delle specie acquatiche, che nella ipotesi di un pianeta blu, nuovamente sommerso,
troverebbero un ecosistema più adatto a loro?
Nel riscaldamento climatico non è in gioco la presenza della vita o meno.
Né è in gioco la presenza dell’uomo, che ha raggiunto un livello tecnologico tale da autoescludersi direttamente dalla catena alimentare e ben presto anche dalla selezione naturale, che ci avviamo a realizzare nei nostri candidi laboratori biologici.
E’ in gioco piuttosto la riduzione del numero degli uomini. Ciò che significa la riduzione del consumo.
Da sette miliardi di consumatori a cinque a quattro a tre.
Come potrebbe sopravvivere monsieur BIC?

gelatina & fotoni: ancora arabi [parte IV]

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ritratto di giulia - il canale
Non prendetemi per matto.
Lo sono.
Ma in parole povere, poverissime, dico: «mais ce n’est pas numérique, monsieur… argentique: on peut pas effacer… on peut pas voir…»

Ma quello insiste.
Droit à l’image.
Ma la donna era di spalle.
effacer effacer effacer effacer effacer effacer
E dico alla donna
«soyez raisonable, madame… c’est pas à publier… c’est pas mon métier… ce n’est q’une photo où vous ne vous voyez meme pas.»
Memememememememememmememememememmememememmeme pas
aiez
confiance
Ma quelli preferirebbero un professionista, mi sembra di capire.
Mi sembra di capire che vogliono una carta.
Sarebbero più intimiditi da un tesserino plastificato.
Dalla plastica del tesserino. Plastica blu bianca e rossa.
E si lascerebbero pubblicare dal giornale, forse.
Non vogliono apparire nel buio pesto della mia camera oscura, però.

camera obscura
ragione obscura?

E certo che questi non sono neanche così antitecnologici.
No.
Mi guardano come un primitivo. Ed infine il mio strumento privo di bagliori e di immagini è qualcosa di ignoto e misterioso.
Fa più paura di un apparecchio digitale. Per questi l’immagine ferma, inesorabile, incorreggibile della GELATINA AL BROMURO D’ARGENTO fa più paura dell’immagine in movimento. Dell’immagine digitale volatile, che pensi di controllare ma che in realtà vola in un secondo; sfugge, mappatura di bit, nei gangli remoti della rete.
A moltioplicarsi in copie infinite.
In memorie infinite, numerose, effimere.

Arrivo anche a dire che no.
Non voglio buttare la pellicola.
N o n l a v o g l i o b u t t a r e.
C’è dentro il mio tempo. E la luce del canale dopo la pioggia intensa di questi giorni.
Luce trasparente che mi immagino già in infiniti toni di grigiomagico.
Infinite profondità del bianco e del nero e del grigio in combinazione alchemica.
Arrivo anche a dire che posso aprire lo sportello della macchina. Ma un istante soltanto.
Non per vedere l’immagine (retechimica), no. Ma per distruggerla istantaneamente. Distruggere gli ultimi centimetri passati sotto il diaframma. Ma conservare i primi, in un miracolo di irradiazione istantanea.
L’istante per cancellare o danneggiare per sempre la latenza dell’immagine, ma salvare, forse tutto il resto.
Sono sospetto.
Io ed il mio apparecchio MANGIANIMA siamo sospetti.
E quello fa proselitismo mentre cerco di far ragionare la donna, che guarda sempre con quei suoi occhi bianchissimi e fuori dalle orbite nere e pastose.
Proselitismo.
Ed in un attimo sono in cinque. E mi prendono per la maglia.
E poi lui che mi insulta.
Forse è mediorientale.
E mi dice
…Italiano di merda… torna al paese tuo
E poi dice
…ladro di merda… vai a farti fottere
E poi mi maledice
E poi gli altri sono già su di me
E nessuno per la strada si ferma
Il traffico scorre
e tutti mi stanno addosso e mi tirano.
Arrivano un gruppo di spacciatori.
!!!LES RACAILLES!!!

Quelli che stanno sempre in una strada privata della rue faubourg du temple.
Quelli che vendono il fumo ed aspettano la rissa col francese bene che se ne va alla Java.
Quelli lì.
Quelli lì arrivano e c’è poco da discutere.
Mi tirano la mia splendida canon
la tirano per il sigma
la tirano per il corpo
ce l’ho al collo, per fortuna. Lezione numero 1.
Almeno una ditemi che l’avevo imparata, no?
Almeno la prima lezione.

Ed ora ho imparato anche quella che alla terza intimidazione sono giovane abbastanza per levare i tacchi in una corsa forsennata.
Che ti tiri via il fiato e renda lucida la mente e forti le fibre a sentire di averla scampata.
E forte l’occhio a guardare i polimeri trasparenti dopo ed imprimerli sulla carta.
Anche se la foto è brutta.
Anche solo per mostrare un’avventura che ora è

senza immagine.

gelatina & fotoni: ancora arabi [parte III]

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canale e luce blu
Quello arriva.
Arriva eccome.
La donna mi guarda.
Io le sorrido.
Lei non può fotografare monsieur
diritto all’immagine monsieur, dice quello
diritto all’immagine cancellare cancellare cancellare, monsieur
dice quello
e quella è muta e spaventata
e quella ha gli occhi sgranati, la donnona
occhi sgranati a palla che le schizzano dalle orbite
primitive orbite
simpaticissime orbite primitive perse nell’ignoto di questa insolita tecnologia
sorrido e lo so che ho uno sguardo da coglione
diritto all’immagine
sono sensibile a tutto questo, io, perbacco
perbacco

Perbacco.
Pensate pure che fossero dei primitivi, i nativi d’america.
Ma quando ammonivano lo yankee e gli dicevano
guardati dalla foto
non fotografarci, ma che vuoi, vattene

parlavano dell’anima e del suo furto.

Avevano torto?
Avevano torto?
Lo diresti ancora che avevano torto?
Lo diresti ancora dopo avere assistito per anni al delirio televisivo?
Dopo avere assistito a questa folla di uomini depauperati di anima tutti intenti ad alimentare il proprio alter ego

fluorescente. A duplicarsi a loop nelle frequenze hertziane della sera e poi nei bit lucidi del mattino.
Quando apri yooooooooooooooooouuuuuuuuuuuuuuutube per rivederli.
Quando ti affacci sul mercato dell’immagine che tutto compra e tutto svende.
Non ti viene forse in mente che
!AH!
ad ogni passaggio fotovoltaico del sensore sulle tue vibrazioni quantiche la tua anima non si consumi?

Un pezzo per volta.
Già credi all’uomo smembrato?
Già credi all’uomo che riveste ogni mattina la stessa giacca blu e ripete la sua azione e annulla il tempo.
Già credi nella marionetta uomo, pronta a scattare al minimo impulso del tuo mouse sulla faccia di un lettore

multimediale.
Credi ad un uomo openSource o a pagamento, ma sempre fluorescente. Sempre ripetibile. Sempre contraffatto.
Crediamo già nell’uomo del video? Egli insegna libertà terribili e mette a dormire i tuoi figli.

Crediamo già che il tempo si ripeta?
Credevamo all’eterno. Ne creammo uno.
Volatile.

E comunque se è per questo i miei simpatici compagni della rue faubourg du Temple non è che fossero proprio del

tutto insensibili alla tecnologia. Anzi. Talmente tecnologici che si aspettavano un digitale da fast food da

guardare, misurare, valutare e cancellare direttamente da un pulsante della macchina.
Ed io sempre col mio sorriso da imbecille stampato al centro del viso mostro loro il dorso della macchina e dico

non posso cancellare
non posso vedere

sono un cieco al bianco e nero
la tua immagine non esiste ancora in nessuna memoria
la memoria inizia quando svelerò l’immagine latente
per ora la fascia mossa della tua figura è latente
è una rete
chimica

gelatina & fotoni: ancora arabi [parte II]

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la grossa nera - rue faubourg du temple

Hai solo fumo blu nella testa e nei polmoni.
E questa sera in fondo non è neanche troppo dorata.
Questa sera è mezza azzurra e mezza blu.
Giustamente: come il fumo nella tua mente e la nebbia nelle tue ossa.
La sera è blu e quasi fa freddo a pensarci.
Che avresti quasi bisogno di un maglione.

Ma avresti anche bisogno di un occhio che allontani ed ingrandisca ad un tempo.
Che esso ingrandisca ogni singola faccia di ogni singolo passante che si imbatta sul luogo del delitto.
Che si imbatta in una specie di RITTTTTTAAAAAAALLLLLLLLLL stordito dalla sua macchina fotografica. Con un cannone al posto dell’occhio, che spara uno scatto

appena ed incide sulla gelatina all’argento ed al bromuro l’immagine di
- un marciapiede che sale verso l’alto
(percorso da)
- una
grassissima africana nera di spalle che faticosamente lo risale, il capo coperto, costume tipico a fiori, verde
- qualche paletto con la testa bianca
(o cerino da marciapiede)
(al periferico, forse)
- una macchina che passa
- le mo-bi-let-te
- una bici
sguardi sfuggenti
Ma
La luce è talmente blu
L’ombra dei palazzi è così fredda
e pazza

La pellicoa così bianco e nero
che
- il tempo di ripresa è stato troppo lungo
così la gelatina il bromuro l’argento il polimero complesso e tutto l’ambaradam avranno preso si e no
- un corpo grasso, grigio,
- con forse qualche fiore bianco che si distingue
- scie di volti e braccia e gambe
- ed un fiammifero di strada, unico fermo in questa risacca di cellule e vento
uno di quelli con la testa bianca il corpo marrone e la mano di qualcuno sempre poggiata sopra
e quasi ti dispiace d’avere sprecato lo scatto.
E speri nella fortuna.

Ma quello arriva.
Cazzo: arriva e si infuria.
La scena lui se la cucca subito.
E quasi a bassa voce dice
“urgluglrlulgllguuuelleleluuffu-fu-fo-photo”
capito?
“urgluglrlulgllguuuelleleluuffu-fu-fo-photo”
Roba dell’altro mondo.
Roba che lo ignoro, che altro fare?
Roba che la donnona dall’aria grassa e gioviale si volta e mi guarda.
Roba che le sorrido, perdio.
Costoro mi sono simpatici.
A priori.
Come pregiudizio: giudizio emesso prima.
Mi sta simpatica questa gente.
La parola è SOPRAtTUTTO.
Anche quando essa fa male e provoca onde d’urto ed ossessioni e disperazioni.

Certo certo.
Certo certo certo.
Ma non ci hai fatto caso,
hein?
Non-ci-hai-fatto-caso?
Quello ha una barbetta strana. Una specie di pelata al contrario.
Peli di culo lunghi lunghi lunghi piantati proprio sopra l’insieme mentopappagorgia.
Anzi. Si direbbe proprio che questi lunghi e storti pelazzi siano proprio messi lì a coronare in una specie di aureola rossiccia il brutto complesso rigonfio mentopappagorgia che sostiene alla lontana il naso aquilino.
Eh si.
Una barbetta rasata tutto intorno a spuntare da orecchio ad orecchio.
Tutto sta sotto un cappellino egiziano.
Cappellino. Cartellina verde. Coranino in una mano e la benedizione di Allah (che Dio l’abbia in gloria) forse nell’altra.
Insieme al candido costume dello studente coranico.
Ma-non-ci-hai-fatto-caso?
Ma che cosa sarebbe ’sto studente coranico?
Che cosa, s c u s a?
Perché avrei dovuto? Mica sono razzista io.

gelatina & fotoni: ancora arabi [parte I]

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temple - senza titolo

Questa volta hai proprio esagerato.
O è Parigi che ha esagerato.
O la televisione.
Quella però, a dire il vero, esagera sempre.
E quindi non mi trovo a navigare, stavolta, ma mi sto nei miei pensieri.
Lo sguardo si chiude dentro al parallelepipedo della scatola ottica.Quadrato di specchi quadrati.

Dicono che dalla scatola ottica la realtà sembra più bella.
Essa è più lucida.
Indurisce i bordi passando per la lucentezza del vetro. E’ sempre luce.
Ma è luce più bella.
Tre dimensioni.
Ma che dici? Hai bisogno della terza dimensione per farne due?
Hai bisogno di eliminare per avere un punto di ripresa?
Il punto di ripresa è ciò che ora, qui, stai escludendo.Forse avresti dovuto escluderlo da subito? Che dici? O vuoi che tutti i dettagli siano sempre regolati?

Ed allora mi ritrovo sempre più spesso con l’occhio piantanto sul lentino ed il lentine dietro al cubo di vetro ed il cubo di vetro col suo specchio e con la sua proboscide telescopica davanti che prende l’immagine.
La gira e la rivolta, e rispetta tutte le simmetrie.
Specchio glacialeimplacabileetereo.
La passa dentro la mia testa che la fa passare attraverso un
miliiiiiiiiiiaaaaaaardoooooooooooooodimiliaaaaaaaardiiiiiiiiiii
di impulsi neuronici.
Come cascata di chimica.
Come allucinazione.
Come una quadratura più rotonda del mio sguardo periferico.
Riduco lo sguardo perifico dentro un apparecchio per prendere la realtà.

Me ne impossesso.
La sviluppo a mio piacimento.

Anche quella volta mi trovo così.
Sono matto.

E tiro metri su metri di polimero violettotrasparente e gelatine a dismisura ed acidi per lavarle e luci per guardarci attraverso.
Il processo della luce.
Che copia in negativo ciò che entra in positivo e torna negativo e torna positivo in un processo di trasformazione e reversibilità virtuosa.
Reversibilità della luce.
E’ per questo che non si deve credere a luce e luminescenze.
Esse ingannano e s’invertono.
Rubano, esse, il vero al vero.

Ed allora?
Allora in tutti questri kilometri di pellicola una volta mi prendono per una spalla.
Mi mostrano un distintivo tirato fuori dal giubottaccio di pelle.
Mi vogliono togliere la macchina e la pellicola e tutto.
Mi distruggerebbero anche il cervello.
Lo esporrebbero alla pioggia aggregante dei fotoni.
Me lo opacizzerebbero al nero o al bianco della totale assenza di contrasto.
Sto fotografando un ministero.
Sono davanti al lago dell’EUR.
Mi salvo solo dopo qualche ora.
E salvo pure le pellicole.

“Marescià, ma lo lasci stare, chiss’ studente di fotografia è…”

Ed allora?
Allora mi proietto a qualche mese più avanti.
Giu per la discesa della rue faubourg du temple.
Sempre lì, te: sembra che tu non veda altro, no?

No.

Non vedo altro.

Vedo solo il fiume incessante della gente sul lucido del pavé appena lavato.
Vedo la llllllllllllllllllluce di una sera rossa che scorre sotto i miei piedi.
E vedo dalla distanza di dieci millimetri TUTTO IL MONDO.
Da un OCCHIO come se fossi un

polifemo meccanico.

In locomozione verso il fiume della folla che compra e mangia e parla e puzza e profuma e guarda.
E questo occhio mi si chiude e passa facilmente a raffiche di NEROCIECO.
A raffiche che prendono il tempo e lo arrotolano su una stringa di 120 cm (e qualche ritaglio).
Vedo tutto questo.
Il mondo e più bello se capovolto e riaddrizzato dall’occhio di una reflex.
Ma quella volta.

Sorpresa.

stammi togethe® (nel caddy?)

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Europa o carrello della spesa?

Pensa un po’.
Mi connetto.
[Madooooooooo'! Sempre connesso! BRANCHÉ ?]
Mi connetto e casco sul sito per la salute in Europa.
Tutela della salute.
Cercavo qualche dato concreto sull’alcoolismo in Francia.
(A proposito… C’è un legame fra alcolismo, libertà individuali ed Illuminismo?).
E scopro che l’organo della comunità europea per la tutela della salute è anche quello per la tutela del consumatore.
Mammmamamammammmmaamammaa!
Il Mondo secondo Monsanto?
Come è possibile che il consumatore sia compatibile con la salute?
La chiave per ritrovare la salute non è forse quella di smettere di essere consumatori?
consumerDAAAAAAY?
Comunque si festeggia sempre qualcosa nel mondo dei consumatori.
Dopo la festa dell’amore inventiamo la festa dell’amicizia.
Per il momento ci siamo inventati
TOGETHE®
INSOMMA 50 ANNI ASSIEME (NEL CARRELLO DELLA SPESA).

il sessantotto da uno che nOn c’era [V]

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Come per Marcuse, il fachiro nel sistema dominante, tutto viene inglobato e diventa dieta igienica.
Allora l’autodeterminazione dei popoli? Fa problema oppure è usata per condizionare l’opinione pubblica?
C’è il Tibet. C’è il Kosovo. C’è la Palestina.
Quale autodeterminazione dei popoli abbiamo scelto oggi nel ricco menu dell’informazione globale?
Il volume delle parole è più proporzionale alla quantità di morti o di abusi?
Ti ricordi di Yasser Arafat?
Ti ricordi dei muri di calcestruzzo?
Ti ricordi del Sessantotto?
segoneon - photorights artMobbing @ rk22.com
Eppure oggi suona ridicola la tavola rotonda del potere e le sue convergenze complottistiche fanno ridere.

[immagine bianconero di Peter Sellers che fa il saluto nazista. Stranamore?]

Già: non esiste alcun tavolo tondo delle decisioni. La tendenza è ben più terrificante: la tendenza è l’auto-omologazione che ha sostituito da un bel pezzo l’autodeterminazione.
E certo le interfacce e la semantica web ci stanno mettendo del loro.

Qualcuno obietta: ma hai già visto una pubblicità su internet che ti è veramente rimasta nel cerebro?
La risposta è chiaramente no. Ma la risposta è anche che internet usa mezzi di persuasione occulta, che il trucco è la facilità di accesso alle informazioni, le quali, proprio in virtù del fatto che sono scelte volontariamente dall’utente, sembrano meno mendaci degli altri media. Internet è la verità.
Ma siamo poi davvero sicuri che sia una verità meno mendace?

Se il linguaggio diventa lo stesso per tutti, ed essendo quella del linguaggio la dimensione stessa dell’esistenza umana, cosa sta accadendo alle nostre PERCEZIONI ora?
Cosa succede se nel cervello di un americano, di un europeo, di un giapponese, si attivano gli stessi circuiti e si vanno a toccare le stesse corde?

Il linguaggio produce senso: non dimentichiamo le pagine di Heidegger in cui si spiega in che modo la parola verità influenzi l’immagine mentale stessa che il greco antico ha della verità.
Nel mondo greco, ci dice il filosofo, la parola Aletheia, che suona come “verità”, vuol dire in realtà non-ascosità non-velato; di qui la verità come svelamento (Unverborgenheit).
Da un punto di vista linguistico è attraverso la parola verità, insomma, che il greco ne coglie l’essenza metafisica.

“[…] la metafisica non porta l’essere stesso al linguaggio, perché non pensa l’essere nella sua verità e la verità non come svelatezza, e la svelatezza non nella sua essenza. Nella metafisica, l’essenza della verità compare sempre e solo nella forma già derivata della verità della conoscenza e della asserzione. Eppure la svelatezza potrebbe essere qualcosa di più iniziale della verità nel senso della veritas. Aletheia potrebbe essere la parola che dà un’indicazione non ancora esperita sull’essenza impensata dell’essere. E se le cose stanno così, allora è chiaro che il pensiero della metafisica, che procede per rappresentazioni, non potrà mai raggiungere questa essenza della verità,[…]; si tratta di porre attenzione all’avvento dell’essenza ancora non detta della svelatezza in cui l’essere si è annunciato. Nel frattempo, alla metafisica, durante tutta la sua storia da Anassimandro a Nietzsche, resta nascosta la verità dell’essere. Perché la metafisica non ci pensa?” [ICM, pg. 321]

Nella grancassa del Web il complotto in realtà si concerta a solo. E’ una questione di semantica.

Anche il principio della parità – almeno virtuale – dei diritti di ogni uomo di fronte alla giustizia subisce nel sistema americano un pericoloso decalage: si verifica così lo scollamento del potere delle Corporation dall’interesse personale.
Il diritto americano non prevede alcuna condanna penale per i dirigenti delle corporation, ammettendo implicitamente che la corporation sia un organismo a sé, suscettibile di prendere decisioni autonome e di avere un comportamento che trascende da quello degli individui che lo compongono.
La corporation è insomma un individuo, ma viene da sé che il deterrente della pena, su un individuo che esiste solo nelle cifre cabalistiche della borsa, è nullo.
Habeas corpus, si, ma quale corpus?
Corpus consumisticus?

Detto questo, come si può pensare che il consumismo non sia il male del capitalismo?
Anche se la produzione viene finalizzata, cosa resta dell’anelito di ciascuno all’autodeterminazione?
Cosa vale un corpo se esso serve solo per impartire consumi?
Cambia qualcosa se questi consumi sono giusti o ingiusti?
Non è piuttosto il consumismo una forma di abbattimento dello spirito?
E cosa succederà quando questo consumo sarà ECOCOMPATIBILE?

Leggi l’ottava puntata de “Il Sessantotto da uno che c’era” su Internettuale.net