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paris 1-02-07 19:54 – 19:57 la revolution de l’énergie
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…une transformation radicale de nos modes de production et de consommation…
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…une transformation radicale de nos modes de production et de consommation…
Cominciamo dai nomi: “bullismo” e “mobbing in età evolutiva”.Due mostruosità linguistiche.
In sincronia con tutti o quasi i fenomeni sociali più attuali, “dizionarizzati”, (già che ci siamo…), dalla lingua giornalistica. Per alcuni professionisti dell’informazione il termine sarebbe la traduzione italiana dell’inglese «bullying»…
Per ogni fenomeno una parola: “mobbing in età evolutiva”. Quanto sono cambiati i tempi dalle virili scazzottate dentro e fuori il liceo. Con quanto rammarico ricorderanno i nostri nonni di non aver picchiato il bellimbusto di turno che a tredici anni li picchiava con la trottola. E oggi ci si perde nelle definizioni cliniche del fenomeno.
Parole a parte, il bullismo fa parlare di sé sui giornali: dovere di cronaca, ma anche piacere del luogo comune, della chiacchiera da bar, della sociologia da quattro soldi. Le statistiche sono chiarissime: il bullismo aumenta. I ragazzi sono più violenti ed indisciplinati con gli adulti. Più crudeli con i coetanei. Spaccano e sparano. Incendiano e distruggono. Sembra lontana, lontanissima, l’immagine del bulletto un po’ ignorante, metal-punk, del Lorenzo che Corrado Guzzanti portò alle glorie dell’etere nazionale. Lontana, lontanissima, la semplicità della violenza che una tale sorta di bulli rappresentava.
Un po’ di numeri.
Secondo recenti statistiche il 33% dei ragazzi è «vittima» di bullismo ed il 45% ne è «spettatore» (e la domanda sorge immancabilmente spontanea: il rimanente 22% è composto di bulli?). Il fenomeno un po’ ovunque in Europa si concentra soprattutto negli istituti tecnici e professionali e fra la popolazione scolastica maschile. In generale in Italia il bullismo tocca il 73 % dei ragazzi (tenendo conto della violenza verbale). Il 21% infine subisce pressioni o minacce costanti. Le statistiche comunque sono sempre causa di allarmismi. Quando non c’erano i sondaggi i fenomeni semplicemente esistevano. E se ne parlava con meno preoccupazione: senza stare a sindacare sul mezzo punto in più o in meno… ma questa è un’altra storia. Nella fattispecie pensiamo al fatto che il sondaggio più vecchio sull’argomento bullismo, almeno in Italia, risale al 1997. Meno di dieci anni fa: siamo in grado di stabilire una vera e propria tendenza crescente su un periodo così breve?
La prepotenza però, lei, non è recente come le statistiche che la fotografano, se già nel 1200 le confraternite degli studenti e la goliardìa rappresentavano i maggiori problemi di sicurezza per una città di medie e grandi dimensioni. Numerosissimi sono a questo proposito gli editti comunali e le ordinanze prefettizie della maggior parte delle città europee che imponevano misure speciali a questi bulli prototipici, le cui attività principali alla veneranda età di 15 e 16 anni pare fossero le risse, il gioco d’azzardo e la prostituzione.
Non siamo nel medioevo: ma neanche nell’Umanesimo. Oggi gli opinionisti si dividono a colpi di riflessi catodici su “La vita indiretta” (sic). Sarà colpa della TV. Sarà colpa dello stato. Sarà colpa della non perseguibilità del reato di bullismo (come ci dice l’istruttivo e disperato sito dedicato alla materia). Di Prodi, Dini e Berlusconi. Delle mode e dei videogiochi. Di Maria De Filippi e delle sue danze buoniste. Della civiltà e del progresso. Della disgregazione della famiglia.
Le soluzioni sono molte, moltissime: chi invoca il braccio violento della legge e chi minimizza il fenomeno e sogna squadroni di Patch Adams che dagli ospedali si trasferiscano nelle scuole. Per regalare un sorriso ai bulli che, in fondo, sono degli emarginati.
Con veterocomunismo solidale, è questa una delle ultime uscite di Dario Fo, che dal suo blog parla e sproloquia su tutto e di tutti. Apprendiamo con interesse dal Nobel che «i risultati (delle attività creative), come nei corsi di racconto teatrale autobiografico danno sempre risultati stupefacenti per la vena creativa che emerge così rapidamente da persone che non hanno mai pensato di saper scrivere o recitare». Bene.
Certo, il fenomeno andrebbe ben scandagliato: ma ad occhio e croce ci sembra che l’emarginazione sia solo un fattore concorrente e che il bullismo si manifesti piuttosto con inquietante trasversalità sociale e nazionale.
Le traversate a cavallo della Francia per finalità terapeutiche cui allude ancora Dario Fo, non devono aver avuto l’effetto desiderato oltralpe, dove allo stesso modo che in Italia è emergenza: risale ad appena qualche settimana fa l’assalto all’autobus nella banlieu marsigliese, episodio in cui una persona è finita quasi carbonizzata per la “bravata” di tre minori. Ed un po’ ovunque nel paese è emergenza: il ministero dell’istruzione ha attivato anche un programma informatico, “Signa”, con il preciso scopo di effettuare statistiche sulla violenza nelle scuole, raccogliendo dati direttamente dalle segreterie. Ma pare che i risultati forniti dal programma siano molto più ottimistici della realtà, per via dell’omertà dietro la quale i professori nascondono le proprie umiliazioni quotidiane e, dato non trascurabile, per via del fatto che i rapporti del sistema informatico vengono pubblicati, creando una sorta di lista nera delle scuole che certo non incoraggia l'iscrizione negli istituti a rischio.
E sul fronte opposto le equipe di psicologi sono già pronte ad intervenire sulla sanità mentale degli insegnanti, sempre più vessati dai loro studenti.
Nelle residenze HLM (i palazzoni popolari delle periferie) l’aria è infuocata: ne sono testimoni i conducenti di bus, ad esempio, costretti a fughe e ad assedi o gli incendi alle autovetture che hanno avuto il loro culmine in ottobre 2005, appiccati soprattutto dagli adolescenti delle periferie.
Uscirà a breve, sempre oltralpe, un rapporto della Mutuelle générale de l'Education nationale (Mgen) sulle «pratiques du harcèlement en milieu éducatif» dove per la prima volta si affronta il problema dell’impatto psicologico delle violenze giovanili sui professori. Non c’è nulla di meglio, comunque, che una bella scazzotata fra amici, direbbe qualcuno: andiamo a raccontarlo agli insegnanti. Da “L’express” onLine sappiamo che «il 15% dei 1.150 professori oggetto di una ricerca dichiara di sentirsi vittima di azioni ostili. La metà di loro giudica la situazione traumatizzante e senza uscita. Infine il 35,8% presenta sintomi di stress acuto».
Ma cosa c’è di diverso fra i tuffi nella spazzatura del bel tempo che fu e le violenze di cui si parla oggi? Quello che ci sembra più inquietante è l’ossessione che “i giovani d’oggi” hanno rispetto alla comunicazione. Nella maggior parte degli episodi riportati dai giornali in questi ultimi mesi, infatti, il fattore più ricorrente è la documentazione delle violenze. Cellulari e palmari: l’occhio tecnologico si schiude e riversa i suoi bit sulla rete. Ed ancora il grande demonio ci mette lo zampino: youtube e googlevideo si intasano di violenza, così come la televisione. Già, perché i nostri ragazzi sembrano avere un futuro da comunicatori multimediali e sanno perfettamente che il modo più facile di ottenere audience è la violenza. Una “Cattiva maestra” lo ha spiegato loro fin dalla più tenera età. Le interfacce e le strategie della visione sono ormai un fatto genetico nelle nuove generazioni. Come nella ripetizione di un atto compulsivo collettivo non ci si accontenta più di picchiare il compagno più debole. Si vuole amplificare il gesto con un media: click e visite diventano un importante fattore di affermazione della propria, seppure virtuale, identità.
Riprodurre e trasmettere sono attitudini indotte dai media e dal web. Il mercato chiede. Il produttore risponde. Patch Adams non vince. Perché far ridere è molto difficile. Resta menare le mani: sareste disposti a fermarvi per strada solo per assistere alle schermaglie di due innamorati? E per gustarvi l’ultima rissa sotto casa per il posto auto?
Sebbene sia un costo per lo stato che deve fargli fronte, il bullismo giovanile risponde alle logiche del consenso del regime in atto: è la manifestazione di una interiorizzazione delle meccaniche della pubblicità e del naturale assorbimento della semantica dei nuovi media. Esattamente nello stesso modo in cui l’informazione asseconda, mostrandola, la brutalizzazione degli stati nemici dell’occidente ed il ricorso alla violenza ed alla tortura per l’affermazione di ideologie libertarie.
I giovani torturatori sono adepti del nuovo regime del consumo. Acquistano e si fanno acquistare. Inviano MMS di violenze sessuali così come ricaricano il credito della VISA sul web. E non dimentichiamo che i più pericolosi delatori, in “1984”, erano i bambini.
Freddi e spietati come macchine celibi.
Freddi e spietati come calcolatori.
Un mondo facilmente manipolabile è un mondo in cui l'informazione abbia perso la dimensione temporale.
Un mondo in cui la custodia del sapere sia demandata. Un mondo in cui la custodia delle informazioni, dell'arte e delle idee sia relegata a mera attualità. Nella perdita della coscienza del prima e del dopo. In una vita che non si storicizza più, in quanto cristallazzata al presente.
Nel 1984 Wiston lavora nella catena di montaggio della cultura.
Wiston è impiegato al Ministero della Verità. L'ente che per conto del Grande Fratello aggiorna il passato al presente.
Ogni previsione del Grande Fratello è vera perché il Ministero della Verità provvede ad adattare tutte le fonti di informazione del passato a quanto accade nel presente.
Se l'Oceania dovesse decidere di tradire l'Eurasia sua alleata, il lavoro di Winston sarebbe quello di carbonizzare tutti i giornali contenenti notizie sull'Eurasia trasformandola in un nemico di sempre del Partito e della Nazione.
Nella testa di Orwell il procedimento di carbonizzazione della carta (Fahrenheit 451?) assume le tinte assieme fosche e cliniche di un meccanismo perfetto ed implacabile. Una specie di posta pneumatica assedia la scrivania del protagonista, e nella mente l'uomo conserverà l'istinto alla ribellione attraverso il ricordo di una fotografia.
Solo attraverso la coscienza di una Verità al di fuori di quella del Partito è possibile una ribellione.
Nella testa di Orwell l'enorme palazzo della Verità è una scatola asettica sull'onda visionaria degli enormi grattacieli di Metropolis. Gli uomini vi lavorano inscatolati in loculi spiati da televisioni parlanti. E quando finalmente le alleanze di guerra cambiano, sono costretti ad ore ed ore di lavoro straoridnario per mandare al macero decenni di carta stampata e ricucirla nei brandelli della fragile storia presente.
George Orwell non conosceva la rete.
E non conosceva la distribuzione digitale delle informazioni.
In questo ormai inoltrato scorcio di secolo dell'informazione si fa un gran parlare del video, di mega, giga, terabite, di interfacce educative, di librerie digitali e condivisione del sapere.
In questo oramai inoltrato Natale 2006 il video monta sulla cresta dell'onda. E' finalmente giunto il momento in cui ciascuno potrà documentare dietro all'occhio meccanico la storia della sua vita.
Blow out.
O i riflessi del suo quotidiano.
In questo inoltrato…
apprendiamo che lo standard video sta cambiando ancora.
Pensavate di aver gettato abbastanza, quando avete disperso tutti gli atomi di ferro e silicio e quarzo e neon e plastica oh quanta plastica e alluminio e carbonio e silicio e ancora silicio e quante guerre faremo per questo silicio e teflon e gomma che componevano il vostro videoregistratore.
Avete pagato cento sesterzi in oro per queste ferraglie. E per le scatole nere che ci caricavate dentro.
Avete pensato.
E forse nel frattempo avete anche sfiorato l'obsolescenza dell'MD o del LaserDisc.
Avete comprato?
Allora comprate anche il blueray fiammante di Sony. Che vi costringerà a rinnovare ben presto il parco macchine della vostra DVDteca.
Obsolescenze su obsolescenze.
E fate attenzione: il formato vincente potrebbe essere un'altro (vero. però meno originale il nome HD DVD). Perché come per il betamax non sempre una mano lava l'altra. l'altra. l'altra.
times 17.3.84 discorso grantfrat africa malriportato rettificare
times 19.12.83 refusi previsionali pianotrienn quartoquarto 83 refusi verificare numero corrente
times 14.2.84 miniabb cioccolato malriportato rettificare
times 3.12.83 relaz ordinegiorno granfrat arcipiùsbuono rifer at nonpersone riscrivere totalm anteregistr sottoporre autsup
Ti ricordi?
La vita media di una pergamena egizia è di 4000 anni.
Il passaggio dal tattile al digitale è avvenuto
in appena un battito di ciglia.
La vita media di un CD è di 20 anni.
La vita media di un DVD è di 20 anni.
micron dura micron.
Ti ricordi di Guttemberg?
E di Baudrillard?
E della stampa a caratteri mobili, ti ricordi?
Ti ricordi? No?
Stava nei preferiti del tuo calcolatore
Di vent'anni fa.
Ti ricordi?
Era seppellito nelle tonnellate di spam.
Ti ricordi?
Registrato in beta o abbandonato nel nero plasticamistero del floppy.
La vita media di un libro in carta clorata è cento anni.
… non eravamo poi troppo affezionati alla memoria.
Ti ricordi?
La vita media di un Hard Disk è di 50 60 80 o 100 anni.
La vita media di un VHS è 30 anni.
Ma l'hai gettato troppo presto per verificarlo, vero?
Mentre
La vita
Media
Di un laserdisc
Non interessa a nessuno.
Ci hanno liquidato con un colpo di pistola.
Stasera il Ministero della Verità fa
gli straordinari.
poiché sparirai
in un pugno di cenere
come sei già scomparso
dietro l’inconsistenza, volatile, del teleschermo
come sei già morto
come non sei più vivo
che
nel riverbero, lontano, di un media
Enrhumé, on dirait.
Ma a Roma. Da Parigi.
E non lo dico per avere delle scuse o degli alibi. Perché qualcosa dalla mia cicatrice sul naso, qualcosa, dico, dovrò pure averla imparata.
E allora sono lì con i miei studi rinascimentali. Le mie belle lettere nella testa. Quando la giornata mi è scivolata nelle dita senza la vera sensazione di aver fatto qualcosa.
Digitato nel nulla. Digitato. Che poi è la chiave funesta del digitale.
E allora c’è questo tipo del cazzo. Con la camicetta insolente da bravo pischello. Con la basetta di quello che pensa di saperla lunga.
C’è questo stronzetto. Ed il padre. Un attrezzo col naso sensuale. Che poi è un eufemismo per dire naso grosso ed adunco e da cretino. Occhio da bue. E la madre. Con una permanente indecente da puttana in pensione. O burina rifatta. O ruffiana borghese. Il che poi è lo stesso.
Se ne stanno intorno alla loro bella Opel grigiotopomonovolume. Tordi ed ingessati per la loro cenetta nella pizzeria. Ci si va in macchina in pizzeria. Nel nostro bel primo mondo.
Ingessati ma manco troppo fermi, visto che il bue cretino si ostina a pigiare col suo zoccolo sul volante.
La gente è così.
Non votano. Non si rompono i coglioni per la merda che ci passa tutti i giorni sotto gli occhi. Ma manifestano la loro disapprovazione per la minima stronzata che turba la loro pace condominiale.
Suonano.
Perché tutti. Tutto il quartiere. Finanche tutto il mondo. Finanche tutto l’universo. Venga a sapere che quell’altro, il coglione che si è appena affacciato dalla finestra chiedendo “che devi uscire?” ha parcheggiato la macchina in doppia fila.
Perché tutti. Malati. Pensionati. Infartati. Bambini. Donne e stronzi del quartiere sappiano bene che loro stanno facendo tardi per andare a mangiare la pizza.
Un uomo col cane passa.
E suggerisce di fare una manovra.
“Cinque minuti in più: fa’ ‘a manovra e nun rompi er cazzo a nessuno”. Perle di saggezza romana.
Il bove ride beato. Schiocca la lingua. “Nun me va”.
“Che te ridi?” sbotto io dal mio seminterrato, dove il cofano della bella monovolumegrigiotopo campeggia in dettaglio faro da dietro le grate antiratto.
“Mo’ vengo e te do du’ pizze”.
E quello. Il pischello bluvestito. Tutto tordo della sua acquolina da pizzamargherita. Tutto bellimbustato nella camicetta Ralf Laurent. Da dietro la macchina fa: “e vie’ che t”e do io du’ pizze”. All’unisono con la madre, aihmé, di bella sintesi donata: “e vie’”. Imbecillità romana.
Perché ad andare fuori ci metto un attimo.
Un solo secondo. Giusto il tempo di mettere gli anfibi nerogialli.
Giusto il tempo di incazzarmi come un sorcio. Come una sorca tiberina. L’insolenza di questi imbecilli patentati. L’insolenza di queste teste fatte apposta per essere rotte. Perché oltre a mangiare e cacare non hanno neanche la voglia di pensare. E non dovrebbero neanche avere il diritto di votare, tanto per inforcare un’altra prima declinazione.
Ed il terrore si spalma sulla fronte del bluvestito.
Il bue armeggia col volante, perché intanto che-devi-usci’? è uscito per davvero e se n’è andato più avanti, il rottoinculo mano atrofizzata incapace di scrivere un biglietto di scuse con l’indirizzo et voilà, pure il campanello da suonare.
E allora che fanno? Scappano.
Montano in macchina e non faccio in tempo a metterglielo nel centro della fronte bassa di Neanderthal, il mio manico di scopa.
Troppo tardi.
Perché ho digitato tutto il giorno.
Perché non ho ancora avuto il tempo di comprare un passamontagna. Io lo schiavo della nuova economia. Che si spippa davanti al computer nell’onanismo nudo e crudo des logiciels.
Perché tutto quello che sono riuscito a fare fino a questo momento, con l’aria del nerd che inforca uno dietro l’altro i diagrammi di un complesso sistema di distribuzione del flusso di informazioni per la comunicazione interna in un ufficietto angolo via Morgagni. Tutto quello che sono riuscito a fare è questo.
1. Chiodi incastrati dietro la ruota posteriore della macchina in doppia fila (da associare all’altra ingegnosa soluzione detta “chiodiincastratidavantilaruotaposterioredellamacchinaindoppiafila”, altrimenti se il seimpatico vetturiere decidesse di partire senza indietreggiare di un millimetro i puntuti cilindri in acciaio si affloscerebbero come lo zizi di un viagradipendente senza le sue scorte più importanti).2. carezza con la mazza il parabrezza (variante accettata: con la mazza carezza la carrozza).
3. la patata nella marmitta. Soluzione di altri e più cortesi tempi allorquando la ancora precoce proliferazione di veicoli ancora induceva lotte solo con i mercatari del carico scarico. Ma purtuttavia soluzione di breve durata, giacché l’automobilista odierno pretende di conoscere il suo tdi.
4. cavo di acciaio legato alla grata proteggiratti (dovrebbe essere tesa da ambo i lati per far capitombolare il motociclista a manetta sul marciapiede, ma ancora non esistono soluzioni tecnologicamente adeguate per sostenere l’altro capo).
5. pompatromba da stadio sparata in tutta la sua altisonante maestà in sincrono col passaggio del proprietario del burgman o tmax che dir si voglia, per prucurare angina pectoris nel suo cuore malato di smog e, colpo grosso, la caduta nelle cacche dei marciapiedi mai puliti.
Le monde est pareil.
Partout en Europe des réforme iniques du travail.
Mais la France resiste.
Aussi si les privileges des français seront une illusion.
Une illusion qui est quand même un exemple de lutte.
Le vidéo “le monde pareil”: