a difesa della défense
scritto giovedì 12 luglio 2007 alle 01:50Leonardo Da Vinci immaginò una città su due livelli.
Quello più basso per lo scorrimento delle vetture, quello alto per le attività commerciali e per la vita sociale.
Nel contesto delle varie città ideali del Rinascimento il progetto di Leonardo è quello forse di maggiore attualità perché sensibile al concetto di abitabilità senza compromettere lo sviluppo dei trasporti e della mobilità “automatizzata”.
Sebbene le istanze razionali non siano proprio il centro della nostra attenzione bisogna pur riconoscere in una tale visione un compromesso importante fra vita “naturale” e sviluppo tecnologico.
Un tentativo armonico di adattamento del modello paranoico della velocità e dell’automazione alla vivibilità dell’ambiente urbano.
La città, del resto, si costruisce non tanto sull’utopia, ma sulle condizioni pratiche che portano a realizzarla. E’ il principio topografico dell’adattamento alla vita ed ai suoi stili.
Così, nell’Africa sahariana le case sono costruite in fango e paglia perché questi materiali consentono l’isolamento dal calore. Nelle zone glaciali del pianeta l’igloo è l’unico sistema per proteggersi dal freddo polare. Ghiaccio a ghiaccio.
I romani svilupparono l’arco soprattutto per il trasporto dell’acqua.
Le medine venivno costruite con vicoli detti “a baionetta” per rendere più difficile la vita agli invasori.
In Andalusia le strade sono strette e lo spazio della socialità si estende all’interno dei cortili per impedire all’afa di tediare gli uomini.
La funzionalità della topografia è insomma legata alle contingenze nelle quali la città si forma.
Brasilia è un esempio di città che nasce unicamente alla luce di una utopia: quella dell’automobile.
Tracciata a partire da una croce nel deserto. Gesto arbitrario e volontà di potenza dell’uomo.
Dichiarata patrimonio dell’umanità, la capitale del Brasile oggi, in aria di trasporti pubblici, ottimizzazione delle risorse energetiche e riduzione dell’inquinamento, soffre nei principi stessi della sua concezione, basata su una visione – sempre più obsoleta – di uomini motorizzati, pronti a percorrere anche le minime distanze usando il motore a scoppio.
Il quartiere della Defense a Parigi nasce su premesse pratiche: la presenza dell’automobile e la necessità di dividere, come per Leonardo, la parte “motorizzata” della vita moderna da quella umana, vissuta sugli arti inferiori.
Una rete du tunnel connette i palazzi, le macchine sono relegate a percorsi sotterranei e non possono avere accesso in nessun modo alla superficie. Ogni grattacielo possiede un’area di parcheggio connessa direttamente con i livelli superiori. Ascensori pubblici mettono in comunicazione l’alto col basso.
Il risultato è sorprendente.
Si passeggia in una vera metropoli postmoderna, sviluppata su una verticale ottica vertiginosa, ma non si sente alcun rumore oltre a quello del vento. L’aria è pulita. La città è un’enorme area pedonale.
Alla fine del percorso l’arco con la sua prospettiva monumentale inquadra lo spazio della vita pubblica e sociale e si apre ad un parco dominato da una passerella in legno.
Un concerto jazz suonato sull’esplanade può essere ascoltato ovunque nella città.
Ed è davvero un effetto straniante: quello di vivere in una specie di nucleo urbano abbandonato, surreale, dove l’arredo urbano diventa presenza dechirichiana ed astratta.
Arredo urbano che prende lo stesso significato delle suppellettili in un appartamento. Fontane come vasche, silhouettes umane come ninnoli sul comodino.
La Defense è uno dei pochi quartieri “razionalisti” che sono riusciti a rendere concreto il compromesso fra vivibilità e modernità.
Basta andarci di domenica per rendersene conto.