Chi paga il debito? Antonio Rezza per Alberto Grifi
scritto mercoledì 10 gennaio 2007 alle 16:29
Tanto avventuroso il film della vita di Alberto Grifi quanto tristi i titoli di coda. Domani, giovedì 11 febbraio a Roma, presso l’Alpheus (www.alpheus.it ) Antonio Rezza proporrà il suo “Pitecus” a sostegno dell'inventore del cinema sperimentale in Italia, considerato fra i massimi esponenti internazionali della ricerca cinematografica tout court.
Per capire il senso dell’iniziativa cominciamo dalla fine, e cioè dall’oblio mediatico e dalla malattia che hanno distrutto la vita di Alberto Grifi, senza casa dall’anno 2000, e sfrattato da un appartamento nel quartiere Prati a Roma. Sette anni di vita nomade e precarie condizioni economiche. Da quasi un decennio ospite presso amici in varie città italiane nonostante la cirrosi epatica virale ed i tre carcinomi che gli sono stati diagnosticati. «Il bisogno di un alloggio è urgente e improcrastinabile», si legge nel comunicato di Antonio Rezza, che – specie nei suoi cortometraggi a metà fra videoarte, pop e sovversione anarchica – ha un debito artistico di sangue con il regista.
Pertinente, a questo punto è un rapido excursus nell’attività del cineasta.
Alberto Grifi, classe 1938, comincia la sua attività artistica nell’officina del padre, dove si costruivano macchine da presa speciali e strumenti sperimentali per il cinema. Il suo debutto nello spettacolo avviene nel ’63, quando lavora alla registrazione di “Cristo ‘63” del giovane Carmelo Bene, pellicola destinata, come del resto anche lo spettacolo teatrale, alla censura.
La speculazione e la destrutturazione del linguaggio cinematografico, che Grifi persegue in tutta la sua carriera, raggiungono i vertici nei suoi due capolavori: “Verifica Incerta” e “Anna”. Il primo, di spirito dadaista e realizzato in collaborazione con Gianfranco Baruchello, scardinava le convenzioni dell’immagine cinematografica attraverso la contraddittorietà del montaggio, usato a guisa di bisturi per vivisezionare la menzogna della società dello spettacolo. Il film suscitò l’entusiamo del gruppo Dada a Parigi e fu presentato da John Cage al New York Museum of Modern Art. Fra le altre cose “Verifica incerta” è servito ad Enrico Ghezzi per inventare “Blob”: il montaggio critico usato nel film, detto “detournement”, è un meccanismo ad orologeria innescato direttamente sulla successione dei fotogrammi, ed il successo di questa tecnica sviluppata per la prima volta in Italia proprio da Grifi, è provato dalla lunga resistenza della trasmissione di Ghezzi nei palinsesti di Rai Tre.
“Anna” fu invece il primo film videoregistrato in Italia, diretto con Massimo Sarchielli, e presentato al Festival di Berlino e alla Biennale di Venezia nel '75. A partire da un canovaccio approssimativo sulla vita di una ragazza presa dal mondo dei “drop out”, i marginali di piazza Navona, il film si snodava fra i canali del vagabondaggio della prima generazione europea di “scoppiati”: lo intesseva un patetismo volontario, fino all’atto di sovversione totale da parte dell’elettricista del film, Vincenzo, che sfondando le convenzioni della scrittura per lo schermo, entrava in campo e dichiarava il suo amore per la giovane donna.
Amore come elemento di sovversione dall’immagine, che nella sua innata forza tirannica rispecchia le logiche del mondo occidentale e consumista.
Amore contro la soggezione dello schermo e la riduzione del soggetto a scimmia da scena: in tal modo la rottura della convenzione, la ricerca di ciò che vive “fuori” dal rettangolo dello schermo, diventa un atto politico.
Ma la personalità di Grifi è sfuggente, ineffabile, mutevole: lo vediamo attivo come pittore, regista, cameraman, fonico, attore, fotografo ed inventore pazzo di dispositivi video-cinematografici: tutte attitudini che determinano una straordinaria e paradossale vicinanza ai pionieri del cinema come Meliés e i Lumière, dove il processo creativo e documentativo si sovrapponeva alla riflessione sulla realtà filmata e all’invenzione di macchine da presa e strumenti ottici come vere e proprie “nuove grammatiche della realtà”. Il cinema come fucina del linguaggio.
Nel '72 il “vidigrafo” serve a trascrivere su pellicola 16mm “Anna” ed il nastro magnetico viene utilizzato tenendo conto della sua inedita “ortografia”. In questa direzione va tutta la produzione di Grifi, che intuì, prima del digitale, il cambiamento di rotta e l’impatto dei nuovi supporti sullo stile dell’audiovisivo. “Anna” segna così il passaggio del cinema italiano all’era dell’elettronica. E del resto il processo creativo per Grifi è sempre un insolito miscuglio di reportage, finzione, documentazione, restauro, tecnica, impegno sociale, lotta politica, sovversione: sono esemplari i casi de "Il manicomio – Lia" e de "Il preteso corpo" del 1977, dedicati all'istituzione manicomiale. Il secondo, in particolare, è un ready made: objet trouvé fra le cianfrusaglie di un mercato delle pulci, freddo testimone della sperimentazione di un medicinale su persone con problemi psichiatrici con conseguenze devastanti su corpo e mente dei pazienti.
Infine l’ideale politico e “resistente” sfociò nei grandi reportage nelle zone povere del mondo, ed in un lavoro continuamente sospeso fra documentazione e fiction. Un lavoro con cui il cinema italiano ed internazionale hanno un debito di riconoscenza che è il momento di saldare prima che sia troppo tardi.
Sappiatene di più: http://www.albertogrifi.com
Partecipate all'iniziativa di Antonio Rezza: http://www.antoniorezza.com