Ensor = Hareng Saur = James (art) Ensor [parte I]
scritto lunedì 8 febbraio 2010 alle 10:10« J’ai anticipé tous les mouvements modernes ». L’affermazione è non già d’un artista, ma di un un’aringa salata, stoccafisso umano stretto fra i denti di due teschi, che – ingordi – se ne disputano l’odore forte ed il sapore cauterizzante.
Dietro al gioco linguistico di vena surrealista, si cela il nome di James (Art) Ensor, belga d’origine, profeta della tetra illusione e dell’orribile, cui il Musée d’Orsay – in occasione del sessantenario della morte – ha consacrato una lunga ed affascinante retrospettiva, terminata il 4 febbraio.
Ed è appunto da qui, dall’equazione « Ensor = Hareng saur = Art Ensor » che dobbiamo partire per afferrare la personalità controversa d’un artista che preferì il tanfo della marcescenza marina, agli atelier e ai boulevard colorati di marca impressionista, e che volle realizzare il sublime e l’assoluto più che la bellezza.
Ensor inizia dal culto della persona ai limiti dell’ossessione, dall’avvitamento nei ricordi, giungendo dall’analisi spietata dell’inconscio alla vivisezione del cadavere nascosto sotto la belle époque.
Putrefazione e deformazione: ecce homo, ecce Ensor, ecco la lucente modernità irrisa in un baraccone circense di smorfie e maschere, in una tetra sfilata di corpi “scheletrizzati” e crani ghignanti.
« Partout la bizarrerie domine » : è questo un atelier degli orrori, che già dalle prove immediatamente successive alla formazione presso l’Accademia delle Belle Arti di Bruxelles, evoca le visioni infantili assorbite nella boutique della nonna, che l’artista stesso racconta come locus magicus di accese fantasmagorie mortuarie.
La mostra inizia proprio con un anelito alla modernità: “La dame en détresse”(1882) è una visione mortuaria che parla la lingua di certe plastiche lascive dell’art nouveau di Schiele, mentre “L’après midi à Ostende” (1881) sembra entrare subito in dialettica negativa con la moda dell’impressione ottica, proponendo un salotto “sottoesposto” nel buio tetro delle tende tirate, a lottare contro il pur tenue sole nordico.
Ma se Ensor anticipa certe immagini “affusolate” e decadenti dell’Art Nouveau, si distingue da quelle soprattutto nella disintegrazione delle decorazioni, spesso riassunte in barlumi di luce colante, come accade nelle tende sullo sfondo de “Les enfants à la toilette” (1886). Il tema infantile è del resto sviluppato sovente in queste prime prove con lo stesso piglio acido e virulento; è il caso de “L’enfant à la poupée” (1884) ove due neonati sono ridotti ad ammassi di carne ed ossa ai piedi di una madre quasi spettrale.
Le visioni fantomatiche ed esoteriche si fanno più forti poco più tardi, verso la fine degli anni ’80, quando, al modo di Goya, i fantasmi dell’onirico non sono solo trasferiti nelle ombre, ma emergono, vigorosi, dal sonno come esseri in carne ed ossa, pronti ad insoliti festini notturni (“Ma tante endormie rêvant des monstres ”, “Cheminée”, “Hyppogriffe”, tutte degli anni ‘80).