esterofilia: velib’ e la megalopoli ciclabile
scritto venerdì 15 giugno 2007 alle 12:36
Qualche tempo fa sulla lunghezza dell’asse di via Taranto e via Magna Grecia hanno fatto la loro timida comparsa quattro linee bianche, tracciate in maniera semiatrigianale, riflesso vago di due geniali piste ciclabili.
Oggi nello stesso punto l’asfalto è cambiato, le righe gialle in terra segnalano lavori in corso. Alcuna traccia resta di vere piste ciclabili né di cantieri per farne.
Metà giugno 2007: dopo una lunga serie di polemiche sui tempi di lavoro, la Decaux, collosso francese che fa arredamento industriale per la metà e più delle capitali europee, ha lavorato giorno e notte portando quasi a termine il progetto più ambizioso d’Europa per lo sviluppo della mobilità in velocipede: Parigi si dota di un parco pubblico di bici sull’esempio della piccola Lione.
Si chiama velib’, bici e libertà: si compra una scheda magnetica annuale, giornaliera o settimanale ad un cifra quasi irrisoria e si può usufruire delle bici pubbliche, gratuite per la prima mezz’ora di utilizzo, a pagamento per le ore successive.
Le cifre fanno impressione: i detentori della carta potranno scegliere fra 1451 distributori automatici che daranno la possibilità di depositare e ritirare liberamente oltre 21.000 biciclette.
Ed il comune è pronto a replicare, se il progetto dovesse avere il successo sperato.
E l’aria è quella della riuscita, preparata negli anni passati con una seria politica di promozione e diffusione della bicicletta come mezzo ecologico, sano, pratico.
Sommando seccamente il numero delle nuove bici pubbliche a chi la bici la usa già a Parigi arriveremo a quasi centomila ciclisti attivi sulla città.
Il coraggio delle scelte di mobilità del sindaco Delanoe sembra un sogno per chi è abituato all’italico savoir faire.
Nel giro di cinque anni la vecchia rete parigina di piste ciclabili è infatti raddoppiata ed attualmente vanta 320km di percorso fra intramuros e “proche banlieu”.
Il che è frutto di una serissima strategia di analisi del traffico che ha visto nei mesi passati centinaia di stazioni piazzate nelle vie principali come in quelle più secondarie, per comprendere l’andamento del flusso dei veicoli per le strade ed adottare una cartografia idonea delle stazioni di distribuzione delle bici pubbliche, ma anche dei parcheggi per bici private.
Non ci si è arrestati di fronte a nulla: né al disagio procurato prima e dopo agli automobilisti (prima per il lavori, dopo per la riduzione drastica di alcune arterie di scorrimento e la loro chiusura settimanale), né agli svantaggi per la società di trasporti pubblici RATP. Con un messaggio chiaro per tutti: nella città moderna, nella città del futuro l’automobile deve sparire. Una possibilità che nella capitale francese si avvicina, favorita anche dal potenziamento della già potente rete di trasporto metropolitano e l’allestimento di una circolare di Tram che segue la linea esterna del peripherique (il GRA di Parigi).
A Roma le piste ciclabili raggiungono ufficialmente la lunghezza di 150km, contando però anche gli itinerari verdi e gli argini del tevere, quelli cioé “non-realizzati” giacché un parco è già una spianata ciclabile e gli argini del tevere lo sono in sé.
La formula di Delanoe è semplice e fa appello ad un sentimento che i nostri amministratori hanno messo da parte da tempo: il coraggio.
Un coraggio che punta tutto sull’intervento diretto sul tessuto urbano.
Coraggio di non arrestarsi di fronte agli interessi delle categorie dei privilegiati come accade a Roma con i tassisti o con la mafia delle fasce blu. Coraggio di togliere asfalto ai pneumatici motorizzati per riconsegnarlo all’energia fisica.
Coraggio insomma di stringere le strade, occupare le corsie preferenziali, costruire vie ciclabili nel senso contrario di marcia, segnalare con pannelli e semafori le svolte e le vie preferienzali per le due ruote.
Coraggio di investire per il pubblico senza pensare a priori ai ricavi (e a chi li avrà).
Ed eccoci qui.
Amsterdam, capitale della bici con i suoi ottocentomila abitanti lascia il posto a Parigi, prima megalopoli europea “ad alta ciclabilità”.
Per Roma (e per i nostri amministratori) non ci sono più scuse.
Il sito del servizio Velolib’ http://velib.paris.fr/
Il sito della mobilità di Parigi
Le striminzite iniziative del comune di Roma
I don Quijote della bicicletta a Roma
Più per Roma che per gli amministratori.
Perché dalle mie parti un’iniziativa simile sarebbe come un reagente messo in una soluzione di mancanza-di-senso-civico, che avrebbe come prodotto un’esplosione di piccoli atti vandalici sulle povere biciclette.
Si parla di Roma con alcuni amici francesi.
Sorridono.
Il primo giorno di passeggiata ecco la necessità di prendere un bus.
Basta comprare il biglietto.
L’edicola ha finito i tagliandi. Che problema c’é? Sul bus non vale la pena obliterare, dice l’edicolante.
Ma loro sono francesi, il biglietto si paga.
Il distributore per la strada non funziona. L’autista a cui chiedono informazioni è attonito. Davvero? Pagare il biglietto? Non c’é bisogno, in Italia.
Al tabacchi il negoziante prende confidenza, vende i biglietti ma sconsiglia di timbrarli.
Poi succede che entrano nel bus. Il servizio è indecente. Fa caldo. L’aria condizionata è rotta. Troppa gente. Il mezzo è costantemente in ritardo. Il tabellone elettronico all’interno non segnala le fermate. Gli arresti non sono annunciati. Gli orari non compaiono da nessuna parte.
Gli educati francesi non danno più torto ai loro consiglieri della strada.
E smettono di pagare le corse per tutto il resto delle felici vacanze romane.
Nessun controllo li multerà.
Per fortuna hanno mangiato la pizza in centro al doppio del prezzo di mercato.
Per fortuna hanno pagato una cifra spropositata per prendere il taxi da Roma all’aeroporto.
Per fortuna che ci guadagna il privato.
Svizzeri, tedeschi e spagnoli, a dispetto dei loro paesi puliti ed ordinati, quando sono in visita in Italia si lasciano dietro scie di rifiuti.
La pattumiera, qui, sembra non interessarli.
Ma del resto chi mi vede se butto una carta su un marciapiede che è una discarica?
A Parigi le strade non sono piene solo di giovani famiglie in bicicletta. Nella capitale francese accade di incontrare bande di adolescenti pronte a mettere a ferro e fuoco un negozio, una fermata del bus, le automobili parcheggiate per strada alla prima occasione utile.
A Parigi ogni volta che un assembramento supera il migliaio di persone bisogna fare attenzione, perché le racailles sono sempre pronte ad uscire dall’ombra e rapinare, rubare, aggredire.
Il conflitto sociale in corso per il momento non è paragonabile a quello delle nostre metropoli, benché anche qui futuribile.
Eppure Parigi è più pulita di Roma.
Eppure i mezzi pubblici funzionano.
Eppure le latrine per la strada esistono.
Eppure ogni mattina una squadra di uomini verdi pulisce le strade, anche le più periferiche.
Eppure le fogne ed i tombini non esplodono al primo temporale estivo.
Non esiste una genetica della mancanza-di-senso-civico. La mancanza-di-senso-civico non è un reagente. E’ piuttosto un virus, una malattia.
L’uomo, anche il più probo, prova sempre un gusto sottile ad infrangere le regole ed a farla franca.
L’Italia offre l’emozione di farla franca. Perché rinunciare?
E’ un virus che si inocula facilmente.
Noi lo abbiamo già ricevuto per endovena in forma di esempi mancati, amministrazioni ladre, delirio anticivico collettivo, maleducazione della strada.
Il ruolo delle amministrazioni è l’educazione al rispetto della dimensione pubblica.
Ma ho molta più facilità a rispettare qualcosa che valga la pena di rispettare.
Quando compro una bici nuova mi guardo bene dal farla cadere in terra. Col tempo la bici sarà meno nuova ed io più disinvolto nel trattarla.
In Italia siamo ormai al punto di non ritorno ci hanno convinti di essere degli idioti del senso civico.
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