un’ora sola ti vorrei
scritto martedì 27 aprile 2010 alle 18:20
Diario, memoria personale, sogno.
“Un’ora sola ti vorrei” di Alina Marazzi è un montaggio di pellicole 16mm e registrazioni audio che prima suo nonno e poi i suoi genitori, realizzarono a partire dai primi del ‘900 fino agli anni ’70.
È una memoria familiare profonda e delicata, che non ha nulla dell’epopea, perché si realizza nell’intimità dolce e malinconica di un rapporto mancato, quello con la madre, suicida a trent’anni dopo una radiosa felicità offuscata dai fumi della depressione e da un lungo calvario di cliniche, psicofarmaci e trattamenti psichiatrici.
Le immagini affiorano nel flusso sbiadito della memoria.
Leitmotiv del montaggio, il volto della madre, Liseli Hoepli Marazzi, la sua triste, algida profondità a presagio della fine violenta.
Le immagini scorrono e si ripetono in lunghe moviola fra videoarte e documentario.
La giovinezza spensierata e le lettere affettuose.
Un viaggio a capo nord.
E poi l’amore, le partenze. I saluti sulla banchina ferroviaria. Un soggiorno in America. Fino alla maternità e ad una sensazione di inadeguatezza ed indecisione che monta, monta, monta, come un insetto nella mente, di cui prende via via dominio e controllo.
Tre generazioni in scene d’interno familiare.
Un mondo così vicino eppure antico e che a tratti sembra più lieve di quello odierno, pur nella tragedia sempre sottesa, già scritta dalle prime immagini, dalle passeggiate dei bisnonni.
Memorie intime d’una intellighenzia italiana – Liseli era figlia di Carlo Hoepli, editore milanese protagonista d’una stagione culturale italiana – dietro la cui immagine di successo cova la depressione e la nevrosi, mal sottile inspiegabile ed improvviso, mal borghese, appunto, figlio paradossale del benessere e della spensieratezza.
Risuonano i temi nel Novecento in questo documentario sincero e personalissimo: vi risuona la depressione di Zeno Cosini, la malattia borghese e l’incomprensibilità di un male nuovo perché inatteso e più forte dell’amore.
La voce fuori campo impasta la memoria visiva con quella scritta; recita le frasi semplici, felici e disperate di Liseli, prese dalle corrispondenze e dai diari che l’accompagnano per tutta la vita, dalla serenità milanese alla disperazione delle cliniche svizzere, dal rapporto difficile con un padre pratico ed autoritario all’amore smodato per un uomo dolce e comprensivo.
Mondo antico, diverso dalle odierne velocità.
Un mondo di lettere e di pensieri e di altalene sospese su moli estivi.
Un mondo di cui Alina vorrebbe un’ora appena in più.