Wittgenstein e il ctrl + z
scritto venerdì 27 novembre 2009 alle 20:53
Se le interfacce sono una simulazione sempre più perfetta della realtà non dobbiamo dimenticare che restano, appunto, una simulazione.
L’affermazione è meno banale se pensiamo alla più peculiare differenza fra realtà ed interfaccia: la reversibilità delle operazioni.
Ciò che infatti caratterizza il virtuale – che esso sia il volto bidimensionale del mio sistema operativo o una complessa simulazione a tre dimensioni per l’apprendimento delle tecniche di aviazione o ancora una esperienza “immersiva” di gioco – è la possibilità di muoversi avanti ed indietro nella scala temporale, con la possibilità di forgiare la realtà attorno alle nostre azioni, che in questo modo si moltiplicano e (dovrebbero) perfezionarsi.
Ad un corso di alfabetizzazione informatica un mio amico, per far comprendere l’operazione crtl + z – quella comunemente denominata “annulla” – ha portato un esempio che ha stupito più d’uno degli auditori. È – diceva – come se mi cadesse il telefono frantumandosi in mille pezzi, ed io potessi tornare indietro nel tempo. Una signora ha quasi applaudito per la geniale trovata.
Le interfacce sono una forma totalizzante di linguaggio, perché combinano tutti o quasi gli universi segnici, in modo verticale, cioè simultaneo. Con il linguaggio d’altronde le interfacce condividono, ed anzi potenziano, l’artificio semantico della metafora: il caso più lampante è l’organizzazione dei sistemi operativi in “finestre” (ma su cosa affaccino queste finestre, poi, nessuno sarebbe capace di spiegarlo…).
In quanto iper-linguaggi le interfacce possono essere considerate delle iper-metafore.
Il gioco di specchi delle metafore sempre impiegate dal linguaggio, il quale così si delinea come metafora totalizzante del Mondo, spingeva Wittgenstein ad affermare che il linguaggio non solo descrive il Mondo, ma ne significa i limiti.
«La proposizione è un’immagine della realtà: Infatti io conosco la situazione da essa rappresentata se comprendo la proposizione. E la proposizione la comprendo senza che me ne si dia il senso.» (Tractatus, 4.021). Ma, prosegue il filosofo, non potrò mai spiegare se non con delle altre proporzioni, il rapporto che intercorre fra queste ed il Mondo.
Bel problema.
Cui si aggiunge la contrapposizione fra dire e mostrare: il “cono d’ombra” del linguaggio, ciò che esso non può dire, è «ciò che può essere solo mostrato». È questo ultimo dettaglio che completa il quadro sulle interfacce, linguaggi tanto più autoritari in quanto potenziano la metafora, in un “dire che può essere mostrato”.
Se la realtà è sempre più contenuta nella metafora del virtuale come cambia il nostro rapporto con il Mondo?
Non saprei dire.
Ma la cultura che ha prodotto le interfacce, in esse descrive il suo preciso rapporto con la realtà, una realtà che si fa elastica e che può facilmente essere piegata al proprio volere. Pensaci. Quanto e come pensiamo di forgiare il Mondo al nostro volere, oggi?
La signora che si stupiva e desiderava impiegare il comando annulla nelle cose della sua vita, probabilmente si convincerà, un giorno, che anche la sua esistenza può essere annullata o riavviata.
Rewind.
Shut-down.