Che fosse l’estetica stessa della nostra civiltà, l’ha intuito da tempo Virilio.
Nella civiltà postmoderna l’incidente è arte.
Rappresenta la frattura della realtà.
La conseguenza estrema ed irrazionale della velocità.
Lo strappo.
Il pugno.
La visione.
L’interruzione del ciclo autistico della catena di visioni che ci intrappola.
C’è un che di sinistro nelle classifiche che sfilano tutti i giorni sulle pagine della rete.
In particolare in questa del Time, in cui le maggiori catastrofi ambientali sono inventariate come una specie di avanzatissimo prodotto della civiltà odierna.
Una conquista della civiltà neoprimitiva.
Stamane alle 9 circa a piazza Venezia, la surreale visione di due oranghi arrampicati sui grandi pini marittimi dei Fori, mentre altri due se ne stanno stesi a sonnecchiare all’ombra della Colonna Traiana.
Mentre scrivo è probabile che gli oranghi siano ancora lì, in attesa della polizia che se li porterà via, potete contarci.
E non tanto per una questione zoologica, ma politica.
Già, perché gli scimmioni in questione stringevano striscioni e manifesti all’indirizzo niente di meno che di Silvio Berlusconi, per protestare contro la deforestazione indonesiana ed invitare l’onorevole presidente a presentarsi al vertice sul clima di Copenaghen, previsto per la prima metà di dicembre, e già in aria di triste naufragio.
Un manifesto firmato Pongo Pygmeus, e stampigliato con il logo di Greenpeace espone la rilevanza della questione Indonesiana, la cui deforestazione è una delle catastrofi ambientali più serie del globo. L’isola dell’Oceania occupa infatti il terzo posto nella classifica mondiale delle emissioni di CO2, dopo Cina e Stati Uniti.
Come può un paese così piccolo inquinare quasi quanto i giganti industriali del pianeta? Ce lo spiegano gli oranghi, inquilini di una foresta vergine che sorge su un vasto strato di torba, nel quale sono intrappolati circa due miliardi di tonnellate di carbonio. Gli incendi e le ruspe che fanno spazio alle coltivazioni di palma, permettono così a questa immensa quantità di carbone fossile di sprigionarsi nell’atmosfera. È una vera tragedia ambientale, che mette a rischio la salute del pianeta, la nostra, e nell’immediato quella degli oranghi e delle popolazioni locali.
Ma potrebbe essere arrestata con decisioni concrete e soprattutto col denaro: Greenpeace calcola che con 30 miliardi di euro l’anno le foreste del globo potranno essere finalmente messe in sicurezza. Intanto i grossi oranghi sono così gentili da offrire al premier un biglietto ferroviario, per raggiungere la capitale danese.
Come a dire: basta solo un po’ di volontà.
È la storia dell’Isola dei fiori, bidonville all’estremo sud del Brasile, ma è anche un manuale di istruzioni per il pianeta terra e per la comprensione dell’essere umano che vi risiede, così ostinatamente appeso all’idea di sviluppo come crescita.
Se un alieno dovesse entrare in contatto con la nostra razza, gliene consiglierei caldamente la visione, in quanto potrebbe rapidamente renderlo edotto circa la natura contorta dell’essere chiamato uomo.
Il corto di Jorge Furtando, realizzato nel 1989, gioca sulla proporzione e sul cambiamento di scala, oltre che sulla digressione continua fra micro e macroscopico.
Si inizia seguendo il cammino di un pomodoro coltivato dal signor Suzuki, e si aprono subito una serie di parentesi “didattiche” in cui ci viene spiegato cosa è un pomodoro, cosa è un giapponese, cosa è il cervello… e via via per tornare a seguire il viaggio del pomodoro dalla pianta, al mercato, alla casa di una famiglia, alla spazzatura, ai maiali, alla sotto-umanità. Tutto prodotto dalla “letale” combinazione di pollice opponibile e cerebro sviluppato.
Furtado costruisce così un percorso per accumulazione, in cui le informazioni – nella loro presentazione semplice, basica, ispirata dal linguaggio didattico d’un documentario per la scuola – si rivelano non proprio scontate, ed anzi, ricche di un significato nuovo e potente quanto semplice e disilluso.
La sensibilità di questo fanciullesco punto di vista sulle cose del mondo, prende tinte quasi surreali. I paradossi del sistema monetario e della delocalizzazione emergono infine, quasi come un’illuminazione nel racconto per extraterrestri cui lo spettatore è guidato dal regista passo per passo, mano nella mano.
Un corso concentrato su delocalizzazione e contemporaneità, che procede per accumulazioni poetiche compiendosi in una sintassi descrittiva possente.
Sintassi poetica del nostro pianeta, e mi dispiaccio solo di non averlo trovato per voi in lingua italiana (in alto è in francese, qui sotto in english).