gelatina & fotoni: ancora arabi [parte IV]
scritto lunedì 16 giugno 2008 alle 11:57
Non prendetemi per matto.
Lo sono.
Ma in parole povere, poverissime, dico: «mais ce n’est pas numérique, monsieur… argentique: on peut pas effacer… on peut pas voir…»
Ma quello insiste.
Droit à l’image.
Ma la donna era di spalle.
effacer effacer effacer effacer effacer effacer
E dico alla donna
«soyez raisonable, madame… c’est pas à publier… c’est pas mon métier… ce n’est q’une photo où vous ne vous voyez meme pas.»
Memememememememememmememememememmememememmeme pas
aiez
confiance
Ma quelli preferirebbero un professionista, mi sembra di capire.
Mi sembra di capire che vogliono una carta.
Sarebbero più intimiditi da un tesserino plastificato.
Dalla plastica del tesserino. Plastica blu bianca e rossa.
E si lascerebbero pubblicare dal giornale, forse.
Non vogliono apparire nel buio pesto della mia camera oscura, però.
camera obscura
ragione obscura?
E certo che questi non sono neanche così antitecnologici.
No.
Mi guardano come un primitivo. Ed infine il mio strumento privo di bagliori e di immagini è qualcosa di ignoto e misterioso.
Fa più paura di un apparecchio digitale. Per questi l’immagine ferma, inesorabile, incorreggibile della GELATINA AL BROMURO D’ARGENTO fa più paura dell’immagine in movimento. Dell’immagine digitale volatile, che pensi di controllare ma che in realtà vola in un secondo; sfugge, mappatura di bit, nei gangli remoti della rete.
A moltioplicarsi in copie infinite.
In memorie infinite, numerose, effimere.
Arrivo anche a dire che no.
Non voglio buttare la pellicola.
N o n l a v o g l i o b u t t a r e.
C’è dentro il mio tempo. E la luce del canale dopo la pioggia intensa di questi giorni.
Luce trasparente che mi immagino già in infiniti toni di grigiomagico.
Infinite profondità del bianco e del nero e del grigio in combinazione alchemica.
Arrivo anche a dire che posso aprire lo sportello della macchina. Ma un istante soltanto.
Non per vedere l’immagine (retechimica), no. Ma per distruggerla istantaneamente. Distruggere gli ultimi centimetri passati sotto il diaframma. Ma conservare i primi, in un miracolo di irradiazione istantanea.
L’istante per cancellare o danneggiare per sempre la latenza dell’immagine, ma salvare, forse tutto il resto.
Sono sospetto.
Io ed il mio apparecchio MANGIANIMA siamo sospetti.
E quello fa proselitismo mentre cerco di far ragionare la donna, che guarda sempre con quei suoi occhi bianchissimi e fuori dalle orbite nere e pastose.
Proselitismo.
Ed in un attimo sono in cinque. E mi prendono per la maglia.
E poi lui che mi insulta.
Forse è mediorientale.
E mi dice
…Italiano di merda… torna al paese tuo
E poi dice
…ladro di merda… vai a farti fottere
E poi mi maledice
E poi gli altri sono già su di me
E nessuno per la strada si ferma
Il traffico scorre
e tutti mi stanno addosso e mi tirano.
Arrivano un gruppo di spacciatori.
!!!LES RACAILLES!!!
Quelli che stanno sempre in una strada privata della rue faubourg du temple.
Quelli che vendono il fumo ed aspettano la rissa col francese bene che se ne va alla Java.
Quelli lì.
Quelli lì arrivano e c’è poco da discutere.
Mi tirano la mia splendida canon
la tirano per il sigma
la tirano per il corpo
ce l’ho al collo, per fortuna. Lezione numero 1.
Almeno una ditemi che l’avevo imparata, no?
Almeno la prima lezione.
Ed ora ho imparato anche quella che alla terza intimidazione sono giovane abbastanza per levare i tacchi in una corsa forsennata.
Che ti tiri via il fiato e renda lucida la mente e forti le fibre a sentire di averla scampata.
E forte l’occhio a guardare i polimeri trasparenti dopo ed imprimerli sulla carta.
Anche se la foto è brutta.
Anche solo per mostrare un’avventura che ora è
senza immagine.
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