l’ambiente? una sfida industriale (parte I)
scritto mercoledì 18 giugno 2008 alle 11:10
Una sfida rimbalza nel chiacchiericcio congiunto di tutti i media.
E’ la sfida dell’ambiente. Per cui ci si è improvvisamente accorti che il pianeta sta morendo, che la terra scalda, che il carbonio immesso nell’aria dai duecento anni di luce (elettrica) che ci separano dall’illuminismo, è letale e distruggerà mondo e razza umana.
La sfida rimbalza da una televisione all’altra. Dal talk show al documentario, dal documentario all’inchiesta politica l’ambiente è urgenza, la più importante emergenza per le generazioni presenti e per quelle future.
Per le generazioni future, soprattutto.
Eppure in questa rinnovata attenzione per i problemi legati ai gas serra e più in generale all’inquinamento della terra e dell’aria c’è un sospetto.
Ma andiamo per ordine.
Raramente si considera la relatività del fenomeno dell’inquinamento ed altrettanto raramente si considera che AMBIENTE non corrisponde a NATURA. E’ molto più pregnante da questo punto di vista la parola francese per ambiente: «environment», ciò che ci circonda, insomma, e non NATURA, nuvola totale e bolla che ingloba tutto il cosmo.
Vista la grandezza cosmica di Natura, allora, l’uomo non sta distruggendo Natura, ma una sua infinitesima parte, che forse siamo autorizzati a chiamare AMBIENTE.
Non dobbiamo mai dimenticare, infatti, che come virus siamo così piccoli che arriviamo appena ad inquinare lo spazio prossimo. Come batteri che dagli starnuti infettino appena l’aria di una stanza.
Siamo ancora distanti dall’inquinare il cosmo, ma nell’inquinamento della nostra piccola sacca d’aria incollata alla superfice terrestre vediamo la catastrofe universale. Quasi il mondo ed il cosmo dovessero finire (o smettere di produrre vita) in assenza dell’uomo.
Inutile dire che è un retaggio cristiano, una rilettura pagana e post-tecnologica della centralità dell’uomo nel disegno cosmico e divino.
L’uomo intacca la sacca di gas che solo fortuitamente si è aggregata attorno al pianeta terra. Il che non corrisponde al Mondo tutto, se non in una prospettiva radicalmente antropocentrica.Antropocentrica, attenzione, non umanistica.
Antropocentrismo.
Il ciclo del riscaldamento terrestre corrisponde ad un ben preciso moto geologico e climatico.
Il nostro pianeta ha vissuto stagioni.
Ed altre ne vivrà.
A noi è stato dato di svilupparci da minuscoli mammiferi a ciò che siamo oggi per via di una miracolosa “finestra” in cui le temperature si sono rivelate più adatte alla nostra vita ed alle nostre condizioni.
Ma cosa ci fa arrogare il diritto di pensare che la terra, in costante evoluzione, debba mantenere il clima che più si confà alla nostra specie?
Arroganza, appunto, antropocentrica. Arroganza di chi sfrutta le risorse fino all’ultimo grammo e poi vorrebbe che la terra non realizzi la sua operazione di riequilibrio.
Già, perché l’innalzamento globale delle acque non è una tragedia, ma la soluzione all’aumento delle emissioni serra: se guardiamo le frequenze millenarie di riscaldamento e raffreddamento del globo terracqueo, infatti, ci accorgiamo facilmente che ad un aumento dello CO2 corrisponde un riscaldamento, seguito dall’aumento del livello delle acque, il quale livello delle acque mangia e riassorbe spingendole sul fondo, le molecole di biossido di carbonio nell’aria, comportando così una progressiva riduzione dell’effetto serra e così del calore.
Un pendolo perfetto e virtuoso.
Chissà cosa pensano i nostri amici rettili del riscaldamento globale: non possiamo negare che essi con un mondo ben più caldo di quello attuale, si troverebbero a proprio agio…
E che dire delle specie acquatiche, che nella ipotesi di un pianeta blu, nuovamente sommerso,
troverebbero un ecosistema più adatto a loro?
Nel riscaldamento climatico non è in gioco la presenza della vita o meno.
Né è in gioco la presenza dell’uomo, che ha raggiunto un livello tecnologico tale da autoescludersi direttamente dalla catena alimentare e ben presto anche dalla selezione naturale, che ci avviamo a realizzare nei nostri candidi laboratori biologici.
E’ in gioco piuttosto la riduzione del numero degli uomini. Ciò che significa la riduzione del consumo.
Da sette miliardi di consumatori a cinque a quattro a tre.
Come potrebbe sopravvivere monsieur BIC?