l’ambiente? una sfida industriale (parte II)
scritto giovedì 26 giugno 2008 alle 09:06
La biodiversità e la selezione naturale prevedono il cambiamento climatico e ne sono figlie.
Senza variazioni più o meno brusche del clima non esisterebbe la varietà sconcertante della vita sul nostro pianeta.
E senza la coesistenza di questi due dati non si verificherebbe l’evoluzione, che non è un fenomeno graduale, ma improvviso, dal momento che secondo l’evoluzionismo classico la variante genetica è sempre netta.
Il cambiamento climatico è un fatto fisiologico.
Tanto più che l’attività umana si somma solo ad un trend di riscaldamento naturale, rispondente alla più o meno regolare ginnastica praticata dalla nostra beneamata terra.
Ginnastica dilatatoria: il bordo di gas che ci protegge dal vuoto assoluto del cosmo aumenta e diminuisce la sua temperatura. E pulsa su archi di tempo che i nostri calcolatori riescono a malapena ad ipotizzare.
La sfortuna è stata semmai quella di fare la rivoluzione positivista proprio in un momento di punta del riscaldamento naturale: se il processo d’emissione di CO2 fosse cominciato durante la discesa naturale delle temperature avremmo forse considerato l’inquinamento come il cuscino tiepido per conservare la specie?
Una manna offerta dalla tecnologia e dai consumi.
Improvvisamente, dopo anni di smaccato disinteresse, l’emergenza climatica entra nel centro dell’occhio dei media.
Il mondo occidentale punta i riflettori sul fenomeno e quello finalmente ESISTE.
E nulla nei media è relativo.
Ma perché ora?
A chi fa male il riscaldamento climatico?
«L’environemment est un défi industriel»
(spot Veolia)
Per il momento esso fa male soprattutto ad alcune popolazioni più esposte (per povertà o posizione geografica od organizzazione urbanistica o per tutti questi fattori assieme). Cicloni, catastrofi climatiche d’ogni genere e dimensione affliggono oggi un po’ tutte le aree del pianeta, ma colpiscono solo ove non esistano i mezzi per prevedere il cataclisma o – come nel caso della Birmania – quei luoghi ove l’informazione sia guidata più che altrove da un regime autoritario che omette e nasconde anche la morte.
In futuro esso coinvolgerà fasce sempre più ampie della popolazione globale.
Soprattutto, però, il riscaldamento climatico ed i disordini stagionali ad esso conseguenti, faranno molto male all’industria globale, che vede già le grosse perdite di capitale che uno stravolgimento radicale del clima potrà apportare.
Approvvigionamenmto energetico ed idrico.
Spostamento degli stabilimenti industriali.
Cambiamento delle regole della economia locale e globale.
Perdita dei vantaggi connessi alla delocalizzazione della produzione.
Come pensiamo di produrre ancora pupazzi in plastica e processori al silicio se fra Hong Kong e gli Stati Uniti ogni trasporto via mare sarà impossibile per sei mesi l’anno?
Il sistema non può tollerare che i tornado devastino stabilimenti petroliferi o danneggino centrali elettriche e stabilimenti chimici.
O che essi distruggano strade, ferrovie o punti nevralgici di smistamento commerciale.
Intollerabile.