Terre Natale – Ailleurs commence ici. Topografia dell’altrove.
scritto venerdì 20 febbraio 2009 alle 20:29
Paul Virilio non è nuovo dell’ambiente. Anzi, è di casa.
Per la Fondation Cartier pour l’art contemporain aveva già pensato una mostra cruciale, Accidens, che sviluppava il tema dell’incidente come forma d’arte nelle civiltà della velocità, dell’ipertecnologia, del dominio mediatico.
In questi giorni Paul Virilio è ancora lì che passeggia e parla, passage d’Enfer, un budello ad appena qualche metro dalla sede della fondazione, stesso marciapiede, davanti al cimitero di Montparnasse. Tutto il giorno Paul Virilio cammina e parla e percorre il passage: ma è una luminescenza in proiezione perpetua al piano “Sous-Sol” della mostra organizzata stavolta con Raymond Depardon, fotografo e documentarista francese fra i più celebrati. Doppio titolo (o titolo e sottotitolo) per il duplice percorso che durerà fino al 15 marzo: “Terre natale – Ailleurs commence ici”.
I temi sono quelli cari ai due organizzatori, che pur con le loro specifiche sensibilità, si fanno eco l’un l’altro in simmetria quasi perfetta. Al centro v’è l’idea di terra natale, polverizzata dalla globalizzazione, sia per gli occidentali – costretti per la prima volta a confrontarsi con la perdita di identità e tradizioni e col mondo rimpicciolito a colpi di comunicazione e supervelocità – sia per i “figli di un dio minore” che vedono progressivamente scomparire il loro spazio vitale, e i loro ecosistemi farsi sempre più piccoli.
La terra non basta! La terra brucia!
Per entrambi la terra sembra più piccola di prima. Ma si inizia con chi la terra e l’identità se le vede rubare. Sull’imponente maxischermo della grande sala, gira a loop “Donner la parole”, sequenza di ritratti girati in alta definizione, pillole linguistiche introdotte da giganteschi titoli rossi che segnalano il luogo e la lingua del parlante. Poi il breve monologo.
Sentiamo parlare in Kawésqar (Cile), Chipaya (Bolivia), Quechua (Bolivia), Mapuche (Cile), Afar (Etiopia), Occitano (Fancia), Bretone (Francia), Guarani (Brasile) e Yanomami (Brasile). Una sequenza di dettagli di volti parlanti che ammoniscono la civiltà di massa. Divinità primitive, elementari, pure, schiaccianti. Le dimensioni della proiezione ed il dettaglio del digitale a donare forza simbolica alle immagini.
Si prosegue con quelli a cui la terra non basta. Il limite della crescita infinita è solo la terra, che già progettiamo di abbandonare. Pianeta usa-e-getta, piccolissimo, minuscolo: il nuovo nomadismo ipertecnologico ci fa stare sempre a casa, il movimento è sempre più svincolato dalla proporzione geografica. Il mondo è un granello di sabbia.
Per la secondai installazione Raymond Depardon ha fatto il giro del mondo in 14 giorni, riproducendo una delocalizzazione paradossale per rapidità e simmetria degli scenari. Solo con la sua camera tascabile ha toccato Washington, Los Angeles, Honolulu, Tokyo, Hồ Chí Minh (già Saigon), Singapore, Città del Capo.
I video, divisi in giorni, sono proiettati su due schermi messi ad angolo. Riprese a camera fissa che osservano attonite lo scorrere delle auto, o la vita nelle strade commerciali. Da più punti di vista, in sincrono, fuori sincrono. Le città occidentali si replicano l’una nell’altra e finiscono con l’assomigliarsi tutte.
Altrove comincia qui.
E veniamo (torniamo) a Paul Virilio che cammina nel passage d’Enfer.
Il suo monologo ci introduce alle video-installazioni progettate da Diller Scofidio + Renfro.
Si parte da un dato di fatto: nei prossimi 40 anni duecento milioni di persone saranno costrette a migrare. È il più grande esodo a memoria d’uomo. Ed è già in corso.
Vale la pena di riconsiderare, dice Virilio, le nostre immagini di sedentario e nomade. L’occidente ha inventato una nuova forma di sedentarismo in movimento, dove non esiste “altrove” pur in una prospettiva geografica virtualmente infinita, liquida e priva di frontiere. Il nomade è invece quello che è sempre da nessuna parte, cittadino di niente, nelle metropoli occidentali o nelle nuove megalopoli sottosviluppate.
Lo spazio geografico e politico come è stato inteso fino ad oggi, sparisce: la cittadinanza occidentale si espande e scontra con la finitezza del pianeta terra.
Il fenomeno è illustrato da una quarantina di monitor sospesi, che collaborano o si alternano nella proiezione di scene di migrazione registrate dai telegiornali: è l’attualità irriconoscibile delle scene di migrazione. Ma saremmo capaci di dire quali migrazioni? Identificare luoghi e scenari politici?
La seconda parte delle videoinstallazioni si caratterizza invece per il concept mediatico quasi invasivo. Su un maxischermo a 360° sono proiettati dati statistici, espressi con animazioni in grafica 3d di altissimo impatto visuale.
Temi affrontati: “popolazione e migrazioni urbane”, dove si espongono i dati della concentrazione urbana planetaria. Ricordiamo soprattutto che il 2007 è stato l’anno del sorpasso: quello in cui per la prima volta nella storia, la popolazione urbana ha superato, su scala planetaria, quella rurale. Cosicché oggi il 51% degli esseri umani vive in città.
In “Flussi di uomini e denaro” si mostrano le quantità di denaro spostate dai risparmiatori emigrati: le somme di quella economia informale creata da chi lavora in occidente ed invia sostegni alla famiglia d’origine. Come in un perfido contrappasso o gioco di vasi comunicanti, i proventi delle usurpazioni del “primo mondo” sul terzo mondo fanno il loro viaggio di andata-ritorno. E viceversa.
Segue una rappresentazione in tre dimensioni ed in scala temporale delle “migrazioni forzate e politiche”: uomini come sciami di pixel in movimento fra Rwanda, Arabia Saudita, Kosovo, Regno Unito, Messico, Stati Uniti, Russia. Qui alle andate seguono solo raramente i ritorni, ed i trasferimenti di massa descrivono lacci intercontinentali fra mondonord e mondosud. Stessa rappresentazione grafica anche per le migrazioni passate, presenti e future, legate agli squilibri climatici ed alle catastrofi naturali. Cifre impressionanti, già triple rispetto alle masse in movimento per lo stesso motivo alla fine degli anni ’90.
Infine “Mari che salgono, città che scompaiono” proietta il livello del mare da qui al 2100: i nomi delle città si dispongono su un mappamondo virtuale e poi si espandono sull’orizzontale dello schermo a 360°. La scala temporale indica lo scorrere del tempo e le città migrano sopra e sotto l’equatore del limite di sommersione.
Per noi a dir poco amara la sparizione del litorale laziale e dell’Italia tutta (o quasi).
Fine. O meglio inizio. Perché le immagini di Terre Natale sono un terreno di coltura ideale per le cellule celebrali; incidono la mente e lasciano un solco profondo atto ad ospitare fertilissimi pensieri di scienza politica, anche a chi non mastica la materia.
Solo una cosa ci sentiremmo di imputare al duo Virilio – Depardon, e cioè la sparizione del local nella loro analisi del global. Sembra un ritornello, ma è efficace per dire che nella loro analisi non v’è quasi traccia delle migrazioni che travolgono l’Europa. È un effetto, forse, di quella tara alla centralizzazione, croce e delizia della Francia. Per cui, poco spazio alla disperazione del mediterraneo ed un occhio sugli “altrove” più prossimi alla Francia o agli Stati Uniti, per storia, indoli o colonialismi.
Ma non proprio per prossimità geografica.